C'è un'ape che se posa
su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va.
Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.
(Trilussa).
Da quando ne ho memoria, un quadretto con questa poesia è sempre stato appeso in casa mia.
L'ho visto per decenni, imparato a memoria, letto a ripetizione. Senza mai capirlo davvero.
Poi, vent'anni fa, mi sono ammalata.
E allora la musica è cambiata.
(rima)
Quando hai ventidue anni e ti fai oltre quaranta giorni d'ospedale, soffri terribilmente.
Perché non sai cosa sia la pazienza.
Perché in ospedale le notti durano 70 ore.
Perché sei giovane e devi affrontare una montagna di "Non potrai mai più mangiare questo, non potrai mai più bere quello, non potrai mai più fare questo, non potrai mai più andare là...".
Perché pensi che trascorrere il tuo tempo in un letto, senza nemmeno riuscire a pensare lucidamente, sia una sontuosa perdita di tempo.
E lo è, in effetti. Finché ti accorgi di aver imparato qualcosa.
La pratica porta alla perfezione, si sa. Vale per tutto. Perfino nello stare a letto ammalati.
Ma soprattutto nel ridimensionare le proprie aspettative, nell'imparare a scandire le giornate con gli appuntamenti che contano davvero.
Quei momenti in cui le piccole cose diventano una conquista, un successo, un traguardo.
Un istante di pura gioia.
Lavarsi i denti.
Rinfrescarsi e indossare un pigiama pulito.
Andare in bagno da soli.
Farsi una doccia.
Piccole cose. Banali.
Ma posso giurarvi che la freschezza del dentifricio ti restituisce fiducia nel mondo.
Se vi è mai capitato di stare costretti a letto per un lungo periodo, lo sapete già.
Ma spero che dobbiate limitarvi ad immaginarlo, e che non dobbiate mai capire quanto possa essere determinante sull'umore, sulla voglia di ricominciare a credere che presto staremo meglio e torneremo a una vita normale.
Spero che ci pensiate solo qui, ora, mentre leggete le mie parole. E che vi aiuti ad apprezzare ciò che avete.
Se tutti dicono che apprezzare ciò che si ha è la chiave della felicità, c'è un motivo.
Per me, oggi, la chiave della felicità è la doccia calda che sono riuscita a fare.
Il pigiama pulito che ho indossato.
Il profumo del docciaschiuma, dello shampoo e del balsamo.
E poi, naturalmente, la speranza.
Pensare a ciò che non si può fare fa male. Davvero.
Sognare ciò che un giorno faremo di nuovo, invece, aiuta a focalizzarsi sull'unico obiettivo che conta: stare meglio.
Vent'anni fa ho capito che la felicità può arrivare ovunque, perfino in ospedale, tramite le piccole cose.
Poi ho capito che pensare positivo aiutava, e che concentrarsi su ciò che ci si stava perdendo in quel momento era solo un modo per farsi del male.
Infine, "oggi", ho capito che per migliorare davvero, bisogna concentrarsi solo su quello.
E' indispensabile chiudere fuori dalla porta tutti gli altri problemi, le preoccupazioni, le scadenze.
Quando stai male, esisti solo tu.
Tu, la tua voglia di combattere. Tu e i tuoi sogni.
In questo momento, il mio sogno è tornare in sella alla mia bici.
Succederà, prima o poi.
Ci vorrà molto tempo prima che sia in grado di fare i tracciati che facevo prima, coi tempi di prima.
Pazienza.
Inizierò poco alla volta.
E quando sarò pronta, per il primo "vero" giro, mi piacerebbe essere insieme ai miei amici ciclisti.
Sogno di averli al mio fianco, a incitarmi.
Ad accompagnarmi. A darmi coraggio. A farmi sorridere.
E' proprio una bella immagine. Mi piace.
E funziona molto meglio del pensiero "Oggi è un'altra splendida giornata e io non riesco ad alzarmi dal letto".
Non trovate anche voi?
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