Pensate che esageri? Forse. Ma al terzo romanzo consecutivo osannato dai lettori su Amazon (colpa mia: dimentico spesso come funzionano le recensioni) e infarcito di errori di grammatica, mi sono un attimo innervosita. Possibile che in un libro dato alle stampe - seppur digitali - si confonda "sarebbe" con "fosse"? "Gli" con "loro"? E, maledizione, "le" con "gli"?
Dove siamo, a una svendita della grammatica? Il romanzo che sto terminando (costo in ebook: €0,99) ha avuto una recensione che mi ha molto colpita: "peccato per qualche errore di battitura che disturba un po', ma considerato il basso costo si può accettare".
Apriti, cielo.
Tanto per cominciare, non sono "errori di battitura": i refusi sono un conto, e non disturbano mai più di tanto. Gli errori (orrori) di grammatica, invece, sono tutt'altra cosa.
Personalmente ne rimango sempre molto turbata ("stà", in un libro, io non voglio vederlo. E nemmeno voglio vedere "un'altro", "un inutile autodifesa" o "se sarebbe avvenuta". Nemmeno in un libro gratuito).
C'è una differenza fondamentale fra "divertirsi", come per esempio ho fatto io con i rompicoglioni, (scritto e pubblicato in 5 giorni netti, con conseguenti refusi derivati dalla mancanza di riletture), e prendersi sul serio.
Scrivere un libro "serio" presuppone che ci si prenda del tempo per rivederlo. Il refuso, per carità, scappa sempre, ma la grammatica no. I tempi verbali nemmeno. E l'invenzione di vocabili inediti neanche.
Eppure, trovo sempre più comuni questi errori nei libri che sto leggendo, non necessariamente autopubblicati. Per gli autori stranieri, mi chiedo sempre se la questione sia attribuibile ai traduttori (e quando trovo un "uscire fuori" la risposta è sì: solo gli italiani potrebbero tradurre il verbo "uscire" con questo obbrobrio).
C'è dell'altro. Da un lato capisco perfettamente "l'ansia" di pubblicare dopo che si è finito di scrivere (ne sono spesso vittima io stessa, quindi ripeto per l'ultima volta: passino qualche refuso), dall'altro lato mi chiedo come, dopo essersi accorti (su segnalazione di qualcuno, prevalentemente) dei gravi errori contenuti nei loro testi, gli autori possano continuare a gioire del proprio lavoro.
Mi sono imbattuta in persone che hanno scritto delle storie senza capo né coda, infarcite sgrammaticature, che si vantano a destra e a manca del capolavoro che hanno sfornato.
Sono curiosa, a riguardo: cos'è, un meccanismo di difesa? O la reale, concreta e inossidabile convinzione di essere Shakespeare, o Calvino, o Vonnegut?
Propendo per la seconda ipotesi, perché in base alla mia esperienza tutte queste persone credono davvero al valore della propria opera. Tanto da autovalutarsela (giuro) con il massimo numero di stelle consentite.
Certo, ogni scrittore è affezionato alle sue opere. Lo sono anch'io, sia chiaro. Ma da qui a far finta di nulla quando è il mezzo principale di quell'opera, la scrittura, a essere carente, ce ne passa.
Le opinioni si possono discutere, la grammatica no.
E sì, nel prossimo bookaholic la (mancanza di) attenzione per la grammatica farà la differenza nelle mie valutazioni.
Tanto che il prossimo libro, finito il tormento attualmente in lettura, sarà un libro dedicato proprio alla scrittura. Per scoprire i vari casi in cui l'autore si è imbattuto e le sue idee a riguardo. Idee che, immagino, l'abbiano spinto a redigere una guida per evitare di commettere errori grossolani nella scrittura.
Scrivere un libro "serio" presuppone che ci si prenda del tempo per rivederlo. Il refuso, per carità, scappa sempre, ma la grammatica no. I tempi verbali nemmeno. E l'invenzione di vocabili inediti neanche.
Eppure, trovo sempre più comuni questi errori nei libri che sto leggendo, non necessariamente autopubblicati. Per gli autori stranieri, mi chiedo sempre se la questione sia attribuibile ai traduttori (e quando trovo un "uscire fuori" la risposta è sì: solo gli italiani potrebbero tradurre il verbo "uscire" con questo obbrobrio).
C'è dell'altro. Da un lato capisco perfettamente "l'ansia" di pubblicare dopo che si è finito di scrivere (ne sono spesso vittima io stessa, quindi ripeto per l'ultima volta: passino qualche refuso), dall'altro lato mi chiedo come, dopo essersi accorti (su segnalazione di qualcuno, prevalentemente) dei gravi errori contenuti nei loro testi, gli autori possano continuare a gioire del proprio lavoro.
Mi sono imbattuta in persone che hanno scritto delle storie senza capo né coda, infarcite sgrammaticature, che si vantano a destra e a manca del capolavoro che hanno sfornato.
Sono curiosa, a riguardo: cos'è, un meccanismo di difesa? O la reale, concreta e inossidabile convinzione di essere Shakespeare, o Calvino, o Vonnegut?
Propendo per la seconda ipotesi, perché in base alla mia esperienza tutte queste persone credono davvero al valore della propria opera. Tanto da autovalutarsela (giuro) con il massimo numero di stelle consentite.
Certo, ogni scrittore è affezionato alle sue opere. Lo sono anch'io, sia chiaro. Ma da qui a far finta di nulla quando è il mezzo principale di quell'opera, la scrittura, a essere carente, ce ne passa.
Le opinioni si possono discutere, la grammatica no.
E sì, nel prossimo bookaholic la (mancanza di) attenzione per la grammatica farà la differenza nelle mie valutazioni.
Tanto che il prossimo libro, finito il tormento attualmente in lettura, sarà un libro dedicato proprio alla scrittura. Per scoprire i vari casi in cui l'autore si è imbattuto e le sue idee a riguardo. Idee che, immagino, l'abbiano spinto a redigere una guida per evitare di commettere errori grossolani nella scrittura.
Nessun commento:
Posta un commento