lunedì 23 marzo 2015

Questione di forma

Ho già scritto sull'argomento, più volte. Non ci torno perché sono monotematica, bensì perché credo che sia importante. E poi, colgo l'occasione offerta dagli studenti che mi sottopongono articoli, saggi e lavori vari sulle serie tv, per avere dei consigli.
Non sempre ho tempo di valutarli tutti, ma ci provo. Domandare è lecito, rispondere è cortesia e io credo che la cortesia sia uno dei punti fermi della vita (con chi è cortese, gli altri possono attaccarsi al tram, come si dice).
Detto ciò, gli articoli che mi sono arrivati negli ultimissimi giorni hanno un denominatore comune: contenuti potenzialmente interessanti, forma non curata. O addirittura scarsa.
C'è questa tendenza a valutare il messaggio tralasciando il modo di esprimerlo.
Tendenza che, per me, dal punto di vista della scrittura è uno dei mali del nostro tempo.

Vi avevo già espresso la mia perplessità sull'adattamento della grammatica agli errori più comuni, cosa che ho sempre considerato (negativamente) rappresentativa di un Paese in cui la cultura di base si sottomette alla pratica quotidiana.
Sarà per questo, sarà perché ormai ho un'età - raggiunti i 40, la prospettiva cambia - sarà per via della battaglia che conduco da quindici anni per l'utilizzo corretto dei termini tecnici, della grammatica (come se fosse un optional...) e della cura per la forma. Sarà per l'insieme di tutte queste cose, fatto sta che ho preso una decisione: abbandonerò ogni testo con errori grammaticali o incapacità di espressione. Il refuso scappa a tutti, a me per prima, e non incide sul risultato. Ma i tempi verbali sono un altro paio di maniche.
Internet ha rivoluzionato la comunicazione, mettendoci in contatto con persone in tutto il mondo, spingendoci a esprimere la nostra opinione, a condividere impressioni e sensazioni. Il che, inutile sottolinearlo, è un grande passo in avanti. Contemporaneamente, però, la "libertà" della rete ha dato voce ad aspiranti scrittori che... Scrittori, in realtà, non sono. E non saranno mai.
Sono una grande sostenitrice della libertà di pensiero, dell'autopubblicazione (alla quale ricorro spesso, per progetti che secondo me sono adatti a quel circuito ancor più che a quelli delle grandi case editrici). Però sono anche una fervente sostenitrice dell'italiano.
Non c'è contenuto che tenga, non c'è idea che mi coinvolga, non c'è progetto che mi appassioni, senza forma. Sono in missione civilizzatrice anche da questo punto di vista: non siamo tutti Leopardi e Manzoni. Non possiamo prenderci "licenze poetiche" dalla grammatica, da ciò che abbiamo imparato (o avremmo dovuto fare) alla scuola dell'obbligo.
Non è un problema che affligge solo il mondo dell'editoria e della scrittura, è un male diffuso ovunque. Professionisti (con tanto di doppia laurea, magari) che mandano e-mail al grido di "il congiuntivo, questo sconosciuto". Insegnanti (giuro) che confondono "c'è" con "ce", o "c'entra" con "centra". Politici - e li sentiamo tutti i giorni - che non sono ignoranti solo dal punto di vista della storia e della legge che dovrebbero rappresentare, ma anche dal punto di vista del linguaggio.
Ce n'è per tutti i gusti. E non mi riferisco a quelle "finezze" che solo gli scrittori sono tenuti a curare. Io, per esempio, ho imparato piuttosto tardi che nella forma scritta NON si usano mai "ed", "ad" e "od" se la parola seguente non inizia con la stessa vocale ("ed entra" , "ed avrà" no). Non lo pretendo da chi non scrive per mestiere. Da qui a tollerare "ed ha", però, ce ne passa. Perché la differenza fra una vocale e una consonante dovrebbe essere chiara a tutti, a un certo punto.
Non è questione di pignoleria, è questione di corretto uso degli strumenti.
Fai il falegname? Devi saper usare chiodi e martello. Scrivi? Devi conoscere la grammatica.
Scrivi un MEME divertente? E io non lo condivido, se ci sono gli errori di grammatica.
Lo so, sono noiosa. Ma se insistere farà venire voglia a qualcuno di riprendere in mano un testo di grammatica, o di sfogliare il dizionario quando ha un dubbio, evviva la noia.

2 commenti:

  1. Uno "snobismo" che accolgo anche io. Se snobismo vogliamo chiamarlo.
    Qualche giorno fa, presa dalla foga del indle Unlimited, ho 'preso in prestito' alcuni titoli, tra i quali "Il mio miglior nemico", che farebbe parte di una trilogia scritta da una certa Cecere.
    Ho scoperto solo dopo che è un auto-pubblicazione e che non vedevo io doppio/male, ci sono robe tipo "apposto" anziché "a posto".
    Questo è un commento e scommetto di aver fatto errori di forma, ma per vendermi un libro forse devi porti più problemi di quelli che ti faresti se stessi semplicemente pubblicando una cretinata on line...

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    1. Hai centrato (non c'entrato :-D) perfettamente il punto: non si pongono il problema. Molti, scrivendo, non si pongono il problema. O magari non lo riconoscono nemmeno (e sarebbe anche più grave)!

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