Il bilancio è pesantissimo: 150 morti, nessun sopravvissuto.
La dinamica non fa pensare a un incidente: l'aereo è sceso di quota per 8, lunghissimi minuti, senza mai rispondere alla torre di controllo che cercava di contattarlo.
Improbabile che entrambi i piloti potessero aver perso i sensi contemporaneamente.
L'ipotesi di un attentato si fa strada. Poi, da una delle due scatole nere, l'agghiacciante verità: approfittando dell'assenza del comandante, che era andato in bagno, il co-pilota si è chiuso in cabina e ha fatto schiantare deliberatamente l'aereo.
Ed è a questo punto che si scatena il gombloddo.
Sui social network, nei commenti agli articoli di ogni quotidiano on line, il tenore è sempre lo stesso: sono molti, troppi, quelli che affermano che "non ci stanno dicendo la verità".
Non vogliono dirci che è stato un attentato per non scatenare il panico. Non vogliono ammettere lacune nella sicurezza all'imbarco. Non vogliono ammettere che c'è stato un guasto e danno la colpa al co-pilota.
Le teorie sono tante, la conclusione una sola: i media ci mentono.
Il procuratore di Marsiglia, che in conferenza stampa mondiale ha rivelato il contenuto della scatola nera. Le grida disperate del comandante, che cercava di rientrare in cabina sfondando una porta blindata impossibile da sfondare, sono inequivocabili. Restano oscure solo le motivazioni del gesto del co-pilota ventottenne tedesco, che in passato (sei anni fa) era stato sospeso dal servizio per una grave depressione.
Eppure, la gente non ci crede.
Siamo nell'era di internet, quando video girati coi telefonini, registrazioni audio e riprese delle telecamere di sicurezza lasciano molto poco spazio ai dubbi. Eppure, la gente non ci crede.
C'è (quasi) sempre uno strumento tecnologico che aiuta a ricostruire la dinamica di un incidente, certamente ce n'è sempre uno su un aereo. Eppure, la gente non ci crede.
Pare che il comandante abbia cercato di risparmiare ai passeggeri l'angosciante consapevolezza di essere in punto di morte, impegnandosi per far sì che il minor numero possibile di persone a bordo si rendesse conto di quanto stava per accadere.
Forse, però, qualcuno sarà ugualmente riuscito a mandare un SMS o a fare una telefonata ai suoi cari. Per dire addio, per chiedere scusa, per professare il proprio amore. Per pronunciare quelle parole che non ci curiamo mai di dire a qualcuno perché siamo sicuri che lo rivedremo presto.
Magari, nei prossimi giorni, scopriremo che un messaggio è stato inviato e ricevuto. Oppure non lo sapremo mai, perché il destinatario - legittimamente - deciderà di tenerlo per sè.
Allo stesso modo, potremmo non scoprire mai perché Andreas Lubitz ha fatto schiantare l'aereo di cui era il co-pilota.
Una cosa, però, è certa: gridare al "gombloddo!" sempre e comunque, anche di fronte a una tragedia di queste proporzioni, è fuori luogo. Asserire che "ci vuole tot tempo per recuperare i dati da una scatola nera" (tutti esperti, come sempre), o che è "impossibile che il comandante abbia lasciato la cabina (?)" (tutti con la vescica a prova di bomba) o che "la compagnia sta nascondendo qualcosa" (sì, è vero, le grandi aziente sono spesso brutte e cattive, ma non per questo devono sempre inventarsi storie bizzarre) non significa solo essere ignoranti e presuntuosi, rifiutandosi di lasciare a chi di dovere il compito di far luce sugli eventi. Significa anche essere irrispettosi nei confronti delle vittime e di tutte le loro famiglie e i loro amici, che hanno il sacrosanto diritto di seguire i progressi delle indagini senza dover leggere commenti di questo genere.
E magari sì, ci saranno nuovi sviluppi e qualcosa cambierà. Lo sapremo solo al momento in cui succederà, e dovremo accettarlo.
Anche se sarà difficile, vivendo in un Paese con sessanta milioni di esperti di tecniche di volo e di strumentazioni a bordo di qualsivoglia velivolo. Difficile, in un Paese con sessanta milioni di investigatori provetti pronti a decretare la colpevolezza o l'innocenza di Massimo Bossetti sulla base delle loro aggiornatissime informazioni sulle indagini. Difficile, in un Paese con sessanta milioni di tuttologi pronti a gridare al gombloddo. Difficile, quasi impossibile.
Eppure, io continuo a sperarci.
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