Cosa fa un mangiabitume quando supera in volata una cicciona in mountain bike? La sfotte.
Non è una freddura, è quello che accade puntualmente quando ho la cattiva idea (leggasi = ottima) di fregarmene della folla e proseguire la mia riabilitazione in bicicletta anche la domenica mattina.
Ci sono due tipi di ciclisti che girano in BDC (bici da corsa): i ciclisti da strada e i mangiabitume.
I ciclisti da strada escono in bici per allenarsi, certo, ma anche per altro: per godersi una bella giornata, o magari un bel panorama, per mettere alla prova se stessi, per fare sport, per sentirsi liberi (la bicicletta fa questo effetto), per divertirsi...
I mangiabitume, invece, escono solo per due motivi: per battere i propri record o per battere i propri "amici" (leggasi = avversari) sulla tal salita o sul tal percorso.
Quelli che girano in MTB (mountain bike), amorevolmente detti "cìciafango", naturalmente, escono per un solo motivo: per divertirsi. Ma questa è un'altra storia.
Torniamo alla categoria mancante degli utilizzatori di BDC: i mangiabitume.
I mangiabitume sono tutti magrissimi, tanto che vien da chiedersi come accidenti facciano a restare in sella quando arriva una folata di vento. Sono tutti vestiti con capi tecnicissimissimi e hanno delle bici della Madonna.
Li riconosci soprattutto da tre caratteristiche:
- non sollevano MAI lo sguardo dall'asfalto (da qui "mangiabitume", appunto);
- passano col rosso, girano in gruppo occupando tutta la carreggiata, frequentano strade vietate alle biciclette, vanno contromano, evitano ACCURATAMENTE ogni pista ciclabile e col codice della strada ci si puliscono il sudore;
- perculano gli altri ciclisti.
L'età tipica del mangiabitume - categoria per nostra fortuna numericamente inferiore al ciclista da strada - è compresa fra i 30 e i 50 anni.
Lo scopo della vita di un mangiabitume, quando mette le chiappe sulla sella, è la competizione. Poco importa se in "gara" ci siano quelli che escono con lui, le sciure col cestino che tornano dal supermercato o una cicciona in MTB, appunto, che s'è fatta 50 giorni a letto, prende farmaci un filino pesanti e usa la bici come mezzo per combattere la malattia, rinforzarsi ed evadere da ospedali e medicine.
Non importa chi sei e cosa tu stia facendo: il mangiabitume gode nel superarti di gran carriera. Anche se sei un ottantenne in equilibrio precario sulla Graziella di tua moglie.
Ora.
All'inizio rispondevo, alle "simpatiche" battutacce. Ora ho imparato a fregarmene, o a rispondere a tono (ma con maggiore simpatia, perché io ho il senso dell'umorismo, a differenza dei mangiabitume).
Inoltre, confesso, le prime volte le battutacce mi scoraggiavano: mi sentivo inadeguata, con la panza e il culone tutti strizzati nell'abbigliamento aderente da ciclismo, tanto che talvolta uscivo con le magliette larghe. Poi, dopo essere quasi morta per rimontare in sella a un semaforo (la maglia si era impigliata nella sella), ho capito perché i vestiti da ciclismo sono aderenti e me ne sono fatta una ragione.
Mi sentivo inadeguata, dicevo. Come quando prendi 150 mg di cortisone (prescritti da un folle, fra l'altro), metti su ottomila chili in quindici giorni e ti vergogni ad andare in giro.
Credevo di aver imparato a sbattermene, delle occhiatacce della gente, grazie a quei tempi andati.
Invece, la bici mi ha rimessa alla prova.
Dopo aver smesso di preoccuparmi del culone che debordava dappertutto, e di doverlo infilare in tutine aderenti, poco alla volta ho dovuto imparare altro: a ignorare le occhiatacce delle altre cicliste donne, a fingere di non sentire i commenti dei runner, a sorvolare sulle battutacce dei mangiabitume che mi asfaltavano (ho fatto la battuta!) in salita. Ma anche in pianura.
E sapete una cosa? Le battutacce di stamattina mi hanno fatta pensare.
Non mi hanno offesa, né mi hanno fatta arrabbiare. Magari, al contrario, mi hanno aiutata a non mollare (fermarsi con tutti quei mangiabitume che non aspettano altro? Giammai!) nel tratto più duro della salita che stavo affrontando, e che solo tre mesi fa facevo senza problemi (e in metà tempo).
Ma tre mesi fa non ero stata a letto 50 giorni. Non avevo avuto 30 coliche al giorno. Non stavo facendo una terapia medica debilitante.
Tre mesi fa non guardavo il mondo dalla finestra. E mentre ero a letto, stavo male e trovare la forza di tenere duro e pensare positivo non era facile, pensavo a quando sarei tornata in sella, al duro allenamento che avrei dovuto fare per riuscire a riprendere il ritmo, per fare di nuovo i miei percorsi abituali, per tornare a macinare lo stesso numero di chilometri di prima.
Ci pensavo, e non vedevo l'ora di sentire l'aria sul viso, di godermi il sole e i colori del bosco, di spazzare via con un colpo di pedale tutto il tempo trascorso da malata costretta a letto.
Ora quel momento è arrivato.
Ci sono giorni migliori e giorni molto meno buoni, che mi costringono a rinunciare al mio giretto sulle due ruote.
A maggior ragione, quando la malattia lo consente, non rinuncio a un bel giro per paura di farmi prendere in giro.
Incontrare altri ciclisti, altri runner quando si corre o semplicemente altre persone quando si esce di casa, non significa misurarsi sugli altri. Nossignori.
Significa entrare in contatto col mondo, salutare chi pedala nel verso opposto (tranne i mangiabitume: quelli non li saluto mai, tanto non rispondono), o limitarsi a sorridere quando il fiato non ti consente nemmeno un "Ciao".
Significa rallentare e fermarsi, se un bambino sta camminando in mezzo alla pista e la mamma è distratta. Significa chiedere educatamente "permesso" o avvertire con un "attenzione!" i pedoni che invadono la ciclabile e non ti sentono arrivare perché hanno le cuffie (ed evidentemente non riescono a camminare sul marciapiede, con l'icona dell'omino che cammina: preferiscono stare dove per terra ci sono disegnate le bici. Magari le preferiscono, graficamente parlando, chissà).
Significa scambiare quattro chiacchiere col signore attempato in bicicletta che si è fermato insieme a te per prendere l'acqua e ha voglia di parlare con qualcuno.
Significa rispettare il codice della strada ricordandosi che si è parte di una società, costituita da un gran numero di persone che fanno attività diverse, che sono distratte, o che magari - ahimè - sono semplicemente maleducate. E l'educato della situazione devi essere tu, altrimenti non se ne esce.
Significa tornare a casa fieri di se stessi.
Significa essere ben consapevoli di non essere "padroni" della strada.
Significa rispettare tutto e tutti, ricordando che non possiamo sapere cosa stiano affrontando le persone che incontriamo.
Significa, insomma, essere l'opposto di un mangiabitume. E sorridere alle sue battutacce.
ciao Chiara è la prima volta che ti commento anche se ti leggo spesso. cosa dire il mondo è pieno di imbecilli che ridono di te se sei grassa se sei magra se sei scema se sei intelligente. ormai lo sappiamo come funziona e quindi lasciamo quelle persone nel loro brodo e circondiamo ci persone che ridono con te. mi sembra di capire che la malattia non guarisce ma ne devi convivere. dai da oggi hai l'amica immaginaria che qualche volta troverà la forza di commentare (sono timida) magari solo per salutarti. roberta
RispondiEliminaCarissima Roberta,
Eliminagrazie mille di essere "uscita allo scoperto" :-) So che per chi è timido è sempre difficile "esporsi" anche solo con un commento, e apprezzo moltissimo il tuo. Sì, purtroppo le mie malattie sono tutte autoimmuni, quindi croniche e degenerative. Stanotte ho avuto un sacco di coliche, e oggi non sono stata bene... Ma son già qui che spero in domani. Come diceva la cara Rossella: domani è un altro giorno. E magari sarà un buon giorno! :-) Un abbraccio fortissimo, grazie ancora. Chiara
Thhanks for writing
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