lunedì 24 ottobre 2016

Non si va oltre al titolo (Il canto del cigno del redattore)

Anni fa la prendevo sul ridere: a Satellite mi cambiavano sempre i titoli degli articoli. Sempre.
Ma lo facevano per un validissimo motivo: il caporedattore era un genio e trovava sempre dei fantastici giochi di parole con le serie di cui scrivevo.
A me non venivano in mente: mi concentravo sul contenuto, limitandomi ad anticipare - per quanto possibile - l'argomento dell'articolo nel titolo.
Poi sono arrivati i social network.
Tempo qualche anno, e il titolo ha preso il posto dell'articolo: tutti a commentare i post condivisi senza averne letto il contenuto.
Gioco forza, il titolo si è trasformato: è diventato il cattura-lettore.

Doveva essere provocatorio, non più solo accattivante.
Doveva essere scandaloso, non più solo stuzzicante.
Doveva essere... cambiato.
I titoli non sono quasi mai di chi firma gli articoli.
Purtroppo.
Perché i titoli sono diventati gli articoli, e l'autore viene associato all'unica parte che il lettore si fila, che è anche l'unica parte che non è frutto della farina del sacco di chi scrive.

Tempo fa ho collaborato con un sito molto noto, che aveva il vizio di cambiarmi sempre i titoli degli articoli mettendone di provocatori, di tendenziosi ma anche di errati.
Ho fatto presente a chi di dovere che la cosa non mi andava bene e mi è stato risposto:
"Eh, ma dobbiamo catturare il lettore. Con un titolo normale non ci clicca mai nessuno".
Inutile dirvi che ho smesso di scrivere per il sito in questione.

I caporedattori, ho poi scoperto, spesso "dimostrano" ai loro superiori di aver controllato l'articolo cambiandone il titolo. Anche quando non serve. Anche quando non ha senso.
Anche quando commettono errori clamorosi.
Ovviamente non faccio di tutta l'erba un fascio: ci sono le doverose eccezioni.
La fretta.
L'eccessivo carico di lavoro.
La stanchezza causata da riunioni estenuanti o da orari massacranti.
C'è il modus operandi, ma c'è anche l'errore umano. E ci sta, ci mancherebbe.
Il problema è che la firma resta e, indipendentemente dalle motivazioni che hanno causato l'errore, il lettore associa ogni sbaglio (o peggio, come mi è capitato recentemente: un clamoroso spoiler!) all'autore dell'articolo.
Ovvero al povero, bistrattato, manipolato redattore.
In una parola: io.

Sono finiti i bei tempi in cui ero Direttore Responsabile e pubblicavo i miei pezzi direttamente, senza che nessuno ne toccasse una virgola.
Sono finiti ma, anche se così non fosse, tutte le altre collaborazioni sarebbero state soggette al massacro del titolo.
E non sarebbe cambiato nulla.

Il dizionario recita:
Titolo: indicazione essenziale che serve a individuare o definire un'opera d'arte, una pubblicazione, ecc.
Ma dovrebbero aggiornarlo.
Perché il titolo, oggi, serve più a definire chi firma l'articolo. E che non è quasi mai lo stesso autore del titolo...

6 commenti:

  1. ammettilo, che il titolo era tuo e che sei passata dalla parte degli spoileratori selvaggi XD

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  2. "Sfogo shock di Chiara Poli: è bufera".
    "Chiara Poli attacca i caporedattori, guardate cosa succede...".
    "Chiara Poli: 'I miei articoli rovinati da titoli sbagliati' e il web si indigna".

    Se un giorno divento il capo del mondo la mia prima legge sarà bandire i titoli che contengo le parole shock, bufera e "il web si indigna"...

    Ciao, chiuffo

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  3. Mi è capitato spesso di pensare che un titolo fosse fuorviante o impreciso dopo aver letto l'articolo che accompagnava, quindi il sospetto che i titoli e gli articoli non fossero farina dello stesso sacco ce l'avevo già da tempo.

    In realtà, posso anche capire la necessità di attirare l'attenzione dei lettori, ma credo che scegliere dei titoli che rispecchino il contenuto degli articoli e concordarli con gli autori non sarebbe chiedere troppo.

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