venerdì 6 maggio 2016

La cultura della rabbia: l'autociclopedonervosismo

Ho in mente questo post da una settimana.
Finalmente sono riuscita a buttarlo giù.
Chissà che serva per far riflettere qualcuno sull'argomento, oltre alla sottoscritta.
Tutto nasce dallo scorso sabato mattina, e dal mio imbattermi nell'autociclopedonervosismo, come lo chiamo io.


Siamo andati in centro per portare i cani a passeggio, e nel tragitto in auto abbiamo incontrato ben tre automobilisti che avevano fatto manovre da ritiro di patente e, sebbene noi ci fossimo limitati a frenare senza dire alcunché, erano pronti a menar le mani (come spesso fa chi ha torto marcio).
Durante la passeggiata, abbiamo rischiato di essere investiti da un automobilista che non ci aveva visti sulle strisce pedonali (lasciate che vi dipinga il quadretto: c'eravamo io, che ho una certa mole, il coniuge alto uno e novanta, due labrador al guinzaglio e uno in carrozzina: non notarci era come non vedere il proverbiale elefante in salotto...).
Dopodiché, siamo tornati a casa e siamo usciti in bici. Sull'attraversamento pedonale della ciclabile, che indica chiaramente la nostra precedenza, siamo stati presi a male parole da un motociclista, che ci urlava contro perché "non eravamo pedoni" e non capiva perché dovessimo passare prima di lui.
Ora.
Come chiunque non trascorra le sue giornate chiuso in casa sa bene, imbattersi in tipi del genere è all'ordine del giorno. Il nervosismo settimanale di chi è in ritardo al lavoro/scuola/parrucchiere/dentista è, ahinoi, diventato ordinaria amministrazione.
Non dico che sia giusto così, ma in qualche modo è un po' più comprensibile.
Il sabato e la domenica, invece, proprio non si capisce cosa ci sia nell'aria.
Pare che fare un metro a piedi in più, evitando di parcheggiare abusivamente sui posti per i disabili, costi una fatica immane.
Pare che tutti abbiano sempre e comunque fretta.
Tanto da infrangere ampiamente le regole, cosa che non andrebbe mai fatta, per nessuna ragione, creando inutili pericoli per se stessi e per gli altri.
Lo dico da ciclista (guai a chi non rispetta il codice della strada! Le regole sono uguali per tutti, a maggior ragione se a rischiare sei tu!), da pedone, da automobilista.
L'avevo scritto in tempi non sospetti, nel mio (volutamente provocatorio) post anti-ciclista-padrone-della-strada: qui.
Avevo scritto che se l'atteggiamento fosse "Ho sbagliato, devo smetterla" anziché "Tanto lo fanno tutti" il mondo girerebbe in modo ben diverso.
A due anni di distanza da quel post, e da ciclista che usa la bici tutti i giorni e non si sognerebbe MAI di passare col rosso, devo constatare che nulla è cambiato.
Ogni giorno milioni di irresponsabili a piedi, in bici, in moto o in auto creano pericoli inutili sulle strade di tutto il mondo.
Corrono rischi inutili.
E, purtroppo, spesso trasformano quei rischi in incidenti.
La strada sembra essere, oggi più che mai, il ricettacolo di ogni frustrazione accumulata in qualsivoglia altra situazione.
L'autociclopedonervosismo dà per scontato che, se infrangiamo le regole, nessuno si debba azzardare a farcelo notare. Che i nostri rischi siano ben calcolati (ma quando mai?!), che sappiamo bene ciò che stiamo facendo, quando decidiamo di fare manovre azzardate.
L'autociclopedonervosismo si sbaglia. Di grosso.
Nostro malgrado, ne riceviamo testimonianze quotidiane.
Non sarebbe ora, nel 2016, di imparare che rispettare le regole fa bene a tutti, inclusi noi, i nostri figli, i nostri cari e i nostri vicini?
Non sarebbe ora, nel 2016, di mettere da parte la cultura della rabbia e di accettare il fatto che dobbiamo/vogliamo spostarci con uno o più mezzi nell'arco della giornata?
Non sarebbe ora, nel 2016, di dare un taglio all'ignoranza dilagante, all'arroganza su strada, all'incapacità di capire che infrangere le regole non è da "fighi", bensì da potenziali delinquenti?
Io ho imparato da tempo a non prendermela più.
Non vale la pena di rischiare, né di litigare, né di prendersela.
Siamo tutti sulla stessa strada, va ricordato.
E se tutti imparassimo a prenderla con più calma, il mondo sarebbe un posto migliore.
Un posto decisamente più sicuro.

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