giovedì 17 aprile 2014

House of Cards: una serie imperdibile

Io ho una regola, che seguo da dieci anni. Non mi pronuncio mai su una serie senza aver visto almeno quattro episodi. A meno che, naturalmente, non sia disponibile solo il pilot. 
A proposito di pilot: dopo la messa in onda di quello di House of Cards su Sky Atlantic HD, mercoledì scorso, ho twittato una cosa sul genere: “Prendi cast e script da urlo, e David Fincher alla regia: avrai un pilot perfetto. Aggiungi Kevin Spacey che ammicca in camera: avrai House of Cards”
Ieri sera ho visto il terzo episodio. Non ho alcun bisogno di aspettare il quarto (le regole sono fatte per essere infrante, giusto?). Posso quindi sperticarmi in lodi per quel gioiello televisivo che è House of Cards: io sono ipnotizzata.

Guardando serie tv per lavoro da un decennio, sono diventata “multitasking”: riesco a seguire una puntata scrivendone sul portatile, controllando la posta, dando un occhio ai cani, alzandomi per andare a prendere da bere. Le solite cose, insomma. Ma con House of Cards la mia capacità di concentrazione su più compiti scompare: c’è solo lei, la serie che non ci fa rimpiangere i bei tempi di The West Wing. Il capolavoro di Aaron Sorkin, prima serie di grande consenso a sbirciare dietro le quinte della politica Usa, ci raccontava la storia del Presidente Bartlet (un grande Martin Sheen) e del suo staff alla Casa Bianca. 
Ma qui le cose sono diverse. Siamo di fronte a un political drama 2.0. Una serie del Nuovo Millennio, in tutto e per tutto. Non si vogliono mostrare le idee, la frenesia della vita del Presidente e del suo staff, la necessità di conciliare vita pubblica e privata, la capacità di gestire le emergenze più delicate… Nossignore. House of Cards, tratta dal romanzo del politico britannico Michael Dobbs che era già stato adattato negli anni ’90 dalla BBC, vuole mettere in scena l’unico elemento che i politici di tutto il mondo hanno in comune: il potere. L’unico elemento che regola i rapporti, che decide i giochi, che diventa oggetto di compravendita, che decide le sorti del mondo e del singolo. 
Il potere, uno degli aspetti più affascinanti della nostra società che un autore (letterario, cinematografico o televisivo) possa esplorare si trasforma in un segreto svelato di fronte a una platea di “comuni mortali” (noi) che bramano un dietro le quinte della politica onesto, spaventoso e crudele come quello raccontato da Francis “Frank” Underwood (Spacey).
La “base” di partenza, il libro di Dobbs, era già buona di suo. Non ci piove. Ma l’annuncio della presenza di Kevin Spacey, che chiunque sia appassionato di cinema non può non riconoscere come un grande attore, alimentava le aspettative e alzava il tiro. A ragione, come s’è visto.
E poi, naturalmente, c’è Robin Wright nei panni della moglie di Frank. Un’attrice che, confesso, a me non era mai piaciuta granché. Devo però ammettere che la sua interpretazione in House of Cards è sublime. E poi ho avuto la fortuna di imbattermi in “Loved”, un suo vecchio film (1997), in cui l’ho trovata perfetta accanto a un sempre straordinario William Hurt.
E che dire degli altri membri del cast di House of Cards? Michael Kelly, Kate Mara, Michael Gill… Non ce n’è uno stonato. Nemmeno uno. Questo significa che è stato fatto un grande lavoro di casting, ma anche che tutti i dettagli sono curati con grande dedizione.
L’atmosfera, in una serie, si costruisce con l’insieme di dialoghi, interpretazioni, ambientazione, costumi, scenografia, effetti speciali (se ne servono), colonna sonora, regia, montaggio… Tutto contribuisce a costruire il “sapore” di una serie. 
House of Cards poteva benissimo limitarsi agli ammiccamenti di Spacey, che si rivolge direttamente a noi guardando in camera e parlandoci. Avrebbe avuto il successo che sta avendo anche solo con quello. Invece ha curato tutti gli aspetti della produzione e lo ha fatto perché il cast artistico e tecnico è formato da grandi professionisti, da gente che sa quello che fa. E come lo si fa.
In House of Cards c’è tutto: personaggi intriganti, colpi di scena, dramma, politica, sentimento, suspense. Non è soltanto un political drama (2.0): è un compendio su come si fa la buona tv. La grande tv. Quella che ti lascia con il fiato sospeso fra un episodio e l’altro perché ne vuoi ancora. Quella che ti fa pensare anche dopo i titoli di coda. Quella che ti spinge ad adattare la tua vita alla messa in onda, a dispetto di tutti i mezzi possibili (MySky, Sky On Demand) per recuperare gli episodi. Figuriamoci. Già aspetto una settimana fra una puntata e l’altra. State a vedere che recupero pure un episodio… Non se ne parla neanche: non azzardatevi a scrivermi o telefonarmi il mercoledì sera. Verreste ignorati: su Sky Atlantic HD, il mercoledì, c’è House of Cards

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