venerdì 31 gennaio 2014

La Polee Bookaholic : i libri di gennaio 2014

Eh, no. Non ci casco due volte. L’anno scorso mi sono recensita 118 libri in dieci giorni… Stavolta mi organizzo come si deve (durerò fino a marzo, mi conosco. Ma intanto ci provo). Stavolta butto giù qualche riga ogni volta che finisco un libro, quindi ho deciso di pubblicare le recensioni delle mie letture l’ultimo giorno di ogni mese. Vale la regola “libro finito”: il libro in lettura a fine mese, se non concluso, finisce dritto nella lista del mese successivo. E naturalmente vale sempre la regola “spoiler free”. Io detesto leggere recensioni di libri così approfondite che devono per forza contenere accenni alla trama e ai suoi sviluppi, quindi continuo con la mia formula “breve e spoiler free”. 
Ho iniziato l’anno con gli zombie di Jonathan Maberry (l’ordine è sempre quello di lettura. Manterrò un ordine numerico progressivo anche nei post successivi, per arrivare a un conteggio definitivi sulle letture dell’anno) e devo dire di non essermene affatto pentita. Del resto, mancano ancora dieci lunghissimi giorni al ritorno di The Walking Dead: dovevo pur ingannare l’attesa! 

Enjoy :-)



1. Rot & Ruin di Jonathan Maberry 
L’universo post-apocalittico creato da Maberry con queste “Cronache di Benny Imura” mi ha affascinata subito. Da grande amante e “purista” degli zombie ho apprezzato l’approccio classico, ma originale, alla piaga che ha devastato il mondo e relegato gli esseri umani sopravvissuti dietro cancelli nemmeno troppo sicuri. Ancor più mi è piaciuto il mondo “libero” del territorio infestato dagli zombie e frequentato dai Cacciatori (e per inciso il personaggio di Tom Imura, anche da solo, vale la lettura del libro). I Cacciatori sono coraggiosi individui che si muovono fra le rovine di una civiltà che non esiste più e che le nuove generazioni non conoscono. Una civiltà che sembrava aver già dato il peggio di sé ma a quanto pare ha ancora molto con cui stupirci… Questo primo capitolo di una saga in quattro volumi, studiata per rivelarci poco alla volta i dettagli del mondo creato dall’autore, raggiunge l’obiettivo: personaggi e ambientazioni ci vengono efficacemente presentati, invogliandoci ad approfondirne la conoscenza. E a leggere subito il seguito (come ho fatto io)

2. Dusty & Decay di Jonathan Maberry 
Questo è senza dubbio il più riuscito dei tre capitoli di questa saga, quelli che ho potuto leggere finora. Dopo la doverosa introduzione del “mondo straordinario” che fa da sfondo alle vicende, Maberry è libero di esplorarne gli aspetti più intriganti e pericolosi, regalandoci un romanzo pieno di azione e di tensione. Azione e tensione che ti tengono incollato alle pagine, impedendoti di smettere (fortuna che l’ho letto nei primi giorni dell’anno, quando potevo passare le giornate col naso schiacciato sul mio Kindle. Il libro è ricco di battaglie epiche e orrori partoriti dalla mente di uomini che hanno fatto della fine del mondo l’occasione di un nuovo business si uniscono al “classico” interrogativo delle zombie story più riuscite: l’uomo merita davvero di sopravvivere? Gli esseri umani sono degni di essere salvati? La razza umana ha veramente il diritto di continuare a esistere?

3. Flesh & Bone di Jonathan Maberry 
Nel terzo capitolo della saga, Maberry cerca di rispondere agli interrogativi posti nel secondo volume. Dopo aver costruito un universo con regole precise e dopo averlo esplorato, legando all’azione e alla tensione l’urgenza della sopravvivenza perseguita dai protagonisti, è il momento di riflettere più attentamente sui risvolti psicologici e sociali dell’apocalisse. Considero questo, finora, il libro meno riuscito fra i tre per via di una prima parte piuttosto noiosa e ricca di situazioni “tirate in lungo”, che avrebbero tratto giovamento da una sostanziale riduzione del materiale. Ciononostante, dalla metà in poi Maberry centra di nuovo l’obiettivo: riflettere sui meccanismi psicologici che spingono i sopravvissuti a seguire improbabili (e improvvisati) culti che dovrebbero aiutarli a dimenticare l’orrore. A sperare in un futuro migliore, lontano da una Terra infestata dagli zombie. A continuare a credere che sì, gli esseri umani hanno il diritto di sopravvivere.

4. Stoner di John E. Williams 
Le parole della post-fazione riassumono alla perfezione il senso di questo romanzo: a volte si può raccontare una vita avventurosa in modo banale e noioso, altre volte si può raccontare una vita “ordinaria” in modo eccelso. È il caso della vita di William Stoner, narrata da John Williams con un vigore volutamente contrapposto alla piattezza dell'esistenza del protagonista. Stoner ha origini umili, una famiglia poco espansiva e noiosa; va all'Università per cambiare la sua vita ma non ci riesce davvero: il matrimonio, l’arrivo dei figli, le promesse di un futuro migliore che non si avvererà mai… Tutto si intreccia nel racconto di una vita comune che si scontra con l’ingiustizia e ci ricorda quanto ordinaria possa essere la solitudine. Una solitudine che ci soffoca, senza per questo impedirci di avere la consapevolezza di come la vita sia ben altro. Anche se si tratta di qualcosa che non potremo mai avere.

5. Come una specie di sorriso di Lella Costa 
Noioso e fuorviante: un inizio da cinque stelle che presto tradisce le premesse e le aspettative trasformandosi in un saggio piuttosto pretenzioso sull’ironia. Una scrittura a tratti difficile da seguire per le numerose, troppe, stiracchiate incidentali. Si ride sui soliti luoghi comuni e sulle questioni che in realtà, nel progetto narrativo dell’autrice, sono fuori tema. Quindi c’è proprio qualcosa che non va. Lella Costa resta una grande attrice, una grande comica e una grande donna, ma non è certo una grande saggista. Ci sono dei capitoli interessanti, come quello sulla rapporto fra ironia e musica leggera, ma per lo più si tratta del solito trito e ritrito repertorio sulle differenze fra uomini e donne. Punto G, Harry ti presento Sally, la menopausa, la prostata… Tutto già visto, sentito, letto.

6. La notte degli zombie di Jonathan Maberry 
Ok, sono nel tunnel di Maberry, è ufficiale. Mi sono anche comprata un libro analogico (brr… carta…) perché Patient zero in ebook non c’è ancora. Ne parleremo nella recensione del suddetto, per ora occupiamoci di questa notte degli zombie… Che mi è piaciuta, in definitiva. Devo ammettere che a un certo punto ho storto un po’ il naso su una “variazione” sul tema classico degli zombie, ma visto che è tutto perfettamente giustificato e spiegato, ho accettato la scommessa dell’autore e l’ho seguito in un viaggio spaventoso, con un’eroina un po’ troppo stereotipata (ecco l’unica nota stonata del romanzo) ma una trama avvincente, che riflette anche molto sulla realtà “multimediale” di un attacco zombie ai giorni nostri. Il finale… Beh. Non vi dico nulla, ovviamente. Tutte le mie recensioni sono spoiler free (e non è affatto facile!). Quindi mi limito a dire che il finale mi è molto piaciuto. Molto romeriano, in un certo senso. E bravo Maberry! Dopo le cronache di Benny Imura gli ho dato fiducia acquistando questo libro e sono stata ripagata. Al quarto libro, posso dire che mi fido di lui: Jonathan Maberry sa quello che fa.

7. Soprattutto la notte di Paolo Franchini 
Premessa: Paolo Franchini è un amico (generoso, anche: abbiamo lavorato insieme per “Morto e mangiato”, la raccolta di racconti zombie a scopo benefico. Ogni mail che mi arriva da Franchini è un esempio della geniale ironia che lo contraddistingue: io credo sia un grande maestro della comicità (come dimostra il recente sviluppo della sua carriera), anche se mi “nasce” come scrittore di noir (genere nel quale la sua ironia non manca affatto. La campionessa olimpica di mountain bike in questo libro si chiama Laura Scheggia. Per dire). Il romanzo è ambientato a Varese nel 2008, ma potrebbe serenamente essere il racconto di fatti avvenuti a Los Angeles negli anni ’40, cellulari a parte. Franchini sa il fatto suo: conosce a menadito tutti i cliché del genere e ne dà prova, usandoli deliberatamente con una scrittura ineccepibile, veloce, diretta e puntuale. Io leggo molto… Soprattutto la notte. E questo romanzo l’ho letto in una sola notte.

8. Player One di Ernest Cline 
Sarà che ho passato l’infanzia in sala giochi e ho visto almeno tre volte ciascuno dei film citati… Ma a me questo viaggio negli anni ’80 ha fatto impazzire. Tanto da perdonare alcune ingenuità nella trama e tanto da farmi passar sopra a una serie di colpi di scena che tali non sono perché è tutto piuttosto “telefonato”, sia nell’evoluzione degli eventi che in quella nei rapporti fra i personaggi. Ciononostante, credo che in un romanzo come questo non sia la capacità dell’autore di sorprenderti a contare davvero. Ciò che conta davvero è il mondo virtuale di OASIS così dettagliato da sembrare vero; a contare davvero sono le innumerevoli citazioni rivolte proprio a quelli della mia generazione (benché il romanzo sia, nella sua forma, il classico adventure book rivolto a un pubblico più giovane); a contare davvero sono le emozioni che scaturiscono sempre da un bel viaggio nel viale dei ricordi… Un viaggio al quale questo romanzo rende omaggio come pochi altri per la generazione della sale giochi, di Wargames e dei Duran Duran. Da leggere.

9. La peste di Albert Camus 
Ci sarà un motivo se è un classico immortale (il gioco di parole è voluto, non ho resistito. Abbiate pazienza). Camus ci regala un ritratto vivido, emozionalmente e narrativamente coinvolgente della città di Orano durante un’epidemia di peste negli anni ’40. La cosa interessante, rispetto ad altre opere che trattano lo stesso argomento, è la costruzione di una storia che ti fa affezionare a un gruppo di personaggi lasciandoti sempre consapevole di come ciascuno di essi possa perire da un momento all’altro. Ma il vero punto di forza del romanzo è l’analisi delle conseguenze sociali della peste: l’isolamento di chi viene messo in quarantena, l’esilio di chi non può fare ritorno in città, la solitudine di chi la città non può lasciarla, le relazioni d’amore (famigliari, amicali, romantiche) spezzate e divise, la difficoltà di accettare un mondo “nuovo” e poi di tornare a quello “vecchio”, che dopo l’esperienza vissuta non sarà mai più lo stesso. Camus punta tutto sugli aspetti relazionali di un mondo stravolto da un’epidemia e vince la scommessa: “La peste” è una di quelle opere che fanno riflettere e che aiutano a rimettere le cose in prospettiva. Per capire, quando si sono perse di vista, quali sono le cose che contano davvero. 

10. Pesca al salmone nello Yemen di Paul Torday 
L'ho acquistato poco dopo la morte di Paul Torday: volevo leggerlo da diverso tempo e ho pensato di rendere omaggio al brillante scrittore inglese in questo modo. Avevo letto che si trattava di un romanzo molto divertente, in realtà non è così: la storia è drammatica, sebbene carica di ironia e di una feroce critica alla società contemporanea, con una particolare attenzione per l’ipocrisia della vita pubblica e la manipolazione dei media. Torday dipinge un affresco coinvolgente con dei protagonisti credibili, che restituiscono il sapore della difficoltà di comunicare, di superare le barriere culturali e linguistiche, di accettare le diversità e di scendere a compromessi per vivere insieme. Non voglio rivelare nulla della trama per non rovinare sorprese, come sempre. Mi limito quindi ad apprezzare lo stile, l'unione di diversi stili di scrittura (diari, dialoghi, e-mail e altre forme di racconto scritto) volto a trasformare la storia di Torday in una sorta di documento sulla realtà nascosta dietro trama: la volubilità della politica e l'ipocrisia degli egoisti.

11. Il re di Norvegia di Amos Oz 
Si tratta di un racconto che si legge in meno di un’ora e che io ho volutamente letto nel giorno della memoria. La storia è ambientata in un kibbutz e fa riferimento alla Seconda Guerra Mondiale (con brevi accenni), ma soprattutto al tentativo di iniziare una vita nuova all'interno di una comunità sicura. Una comunità nella quale tutti hanno il loro posto e il loro compito, eppure la libertà di esprimersi non viene mai messa in discussione, a meno che non siano gli stessi protagonisti a farlo. Il kibbutz in cui vivono Zvi e Luna non è una prigione, bensì un rifugio che anche nella “costrizione dei sentimenti”, causati da ferite troppo profonde da dimenticare, restituisce un'atmosfera di serena libertà. Per raccontare di come ciascuno, alla fine, possa trovare il proprio posto nel mondo.

12. Pompei di Robert Harris 
Questo romanzo mi è piaciuto molto, forse perché è completamente diverso da ciò che mi aspettavo. L’autore ricostruisce tutta la fase precedente all’eruzione del 79 d.c., mescolando gli eventi “naturali” con una serie di vicende intriganti. I personaggi sono credibili e nonostante qualche imprecisione storica qua e là (che dà fastidio, ma non tanto da farti lanciare il libro contro il muro) tutto scorre via liscio, fino a… Beh. Sappiamo tutti dove andrà a parare un romanzo intitolato “Pompei”. Il bello è scoprire come ci arriva e come riesce a costruire una storia avvincente, afflitta dalle ingiustizie sociali tipiche dell’epoca e fondata sulla corruzione, che oggi come allora resta uno dei maggiori mali della società. Uno di quei mali che vanno puniti severamente. Anche con una pioggia di fuoco, volendo.


13. Questa notte mi ha aperto gli occhi di Jonathan Coe 
Benché scritto prima (ben 5 anni prima), visto che io l’ho letto dopo, questo romanzo di Coe mi ha ricordato Alta fedeltà di Nick Hornby. Due dei miei scrittori preferiti (entrambi inglesi, e non a caso) si cimentano nel racconto della passione per la musica. Solo che qui il protagonista si divide fra musica e scrittura, come racconta l’autore stesso nella prefazione. Una prefazione che a giudicare dal racconto delle avventure musicali di William, il protagonista, ti fa tirare un sospiro di sollievo alla notizia che Coe abbia scelto di scrivere, anziché di suonare. Perché con le parole, in qualche modo, compone una melodia. La parte sull’attesa dell’autobus alla domenica è qualcosa di sublime: così vero, così “comune” e così ben scritto da risultare inedito e familiare al tempo stesso. E poi c’è quel cambiamento di stile, con l’inserimento di una parte pulp (“molto pulp, pure troppo”, giusto per citare), con la scrittura unica di Coe che le permette di reggere. Perché quando si padroneggiano le parole come succede a lui, tutto è possibile. Anche innamorarsi di ogni frase. 

2 commenti:

  1. Di Amos Oz mi ha parlato bene una mia amica, sebbene io non abbia mai letto nulla di suo. Questa tua lettura me la segno :)
    Io ho da poco cominciato Il nome della Rosa, che avevo da più di un anno ma ho sempre avuto paura di iniziarlo (anche se non so il perché). Vedremo. :D

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    1. Grande, Cristina! Vai, vai! Io lo lessi anni fa. E' un'esperienza da fare :-) Bacioni!

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