Ci risiamo. Puntuale come un orologio, a dicembre il mio corpo inizia a cedere sotto i colpi dell'anemia. Il Signor Crohn mi impedisce di assimilare il ferro dai cibi che assumo (per dovere di cronaca, segnalo che ero anemica anche prima di ammalarmi di morbo di Crohn. Lo sono sempre stata. Sono nata con la camicia :-D), quindi devo spararmelo direttamente in vena (il ferro, dico! Maliziosi!). Siccome niente è mai facile, però, grazie al cortisone che assumo ininterrottamente da qualcosa come 9 anni, oltre ad avere l'artrosi di un'ottantacinquenne (di quelle agili, però! Ci tengo a sottolinearlo! Un'ottantacinquenne AGILE!), le mie vene sono andate. Ogni tanto mandano una cartolina, ma stanno bene dove sono, sorseggiano cocktail in riva al mare e non hanno intenzione di tornare, dicono.
Ergo, già fare un prelievo è un'impresa (ammesso che la vena non collassi, è come cavare sangue da una rapa: non esce nulla!). Figuriamoci fare il ferro in vena, che brucia e dopo un po' distrugge la vena immolata, poverina. Ve la faccio breve: mi tocca mettere il catetere venoso. Finisco in una stanzina operatoria, con teli sterili e tutto quanto, e il primario di oncologia (non il primo pirla che passa, insomma) che con l'ecografo cerca le vene profonde, taglia e inserisce. Dopodiché, bestemmia in turco perché le vene collassano. Così ri-cerca e ri-taglia, mentre la caposala mi tiene la mano e a momenti i lacrimoni vengono a lei. Ma niente, la vena collassa ancora. Le pareti sono troppo deboli. Un altro regalo del cortisone (che per carità, in svariate occasioni mi ha tenuta in vita, non parliamo male di lui che poi mi si offende). Al terzo tentativo e al secondo braccio, di solito ce la si fa e io me ne vado via fiera con le mie iniezioni di anticoagulante nella pancia, un braccio massacrato e uno che va tenuto da conto perché se ci giochiamo l'unica vena, addio. Si chiude baracca.
Di solito tutto questo accade nel periodo delle feste. Il Capodanno in ospedale è di una tristezza che non vi dico. Sommate che ogni due anni devo fare approfonditi esami (il Signor Crohn fa dei bruttissimi regali, bisogna tenersi controllati) e avrete il quadro di terrorismo venologico (lo conio adesso: mi piace!) al quale mi tocca sottostare.
Non che voglia lamentarmi, sia chiaro. Voglio solo dirvi una cosa. Prestate attenzione, please.
Mentre aspetto di riuscire a contattare il medico, riuscire a farmi fare un prelievo (rapa, sangue... Vi ho già spiegato) che rilevi l'urgenza di un ricovero, e soprattutto riuscire a trovare uno straccio di letto (ma sì. Tagliamo la sanità. Tanto abbonda...), passa del tempo. Settimane, di solito. Mesi, a volte.
Quest'anno ho fatto la gnorri. Ho iniziato a stare male a metà dicembre ma sono stata zitta zitta, quatta quatta, perché di farmi ancora le feste in ospedale proprio non mi andava. Di solito approfittavo del periodo natalizio per non avere problemi col lavoro, ma visto che sono disoccupata... Ho tutto l'anno per andare in ospedale! Yeah! Festeggiamo! Un'acqua frizzante, garçon, grazie.
Così sono qui, in attesa di riuscire a farmi dire "Vieni, corri, che se sale qualcuno dal pronto soccorso ti fregano il letto!". Come le partorienti, io la borsa per l'ospedale ce l'ho sempre pronta. Ho anche la panza delle dimensioni di una partoriente, ora che ci penso, ma quello è per via della tiroide ed è un'altra storia.
Fatto sta che nelle settimane o mesi di attesa, di ricovero e di convalescenza, io il mondo lo guardo dalla finestra. Oggi sono riuscita ad andare al supermercato, dopo 5 giorni a letto. Non ho toccato né il carrello né le borse, ha fatto tutto quel sant'uomo di mio marito. Però indicavo gioiosa le cose da infilare nel carrello. Dopodiché, sono dovuta tornare a letto. Energie: bruciate.
Dal letto ho visto che era spuntato il sole. Ho visto gli alberi, la casa di fronte illuminata da una bella luce calda di quelle che ti invogliano a uscire, soprattutto dopo tutta la pioggia dei giorni scorsi.
Ho guardato il cielo azzurro e le nuvole, velate dalla tenda che separa la mia fantasia sullo stare fuori dallo stare fuori davvero.
E ho pensato a quanti giorni, settimane, mesi, ho passato così. Dalle camere delle mie case (con i vari traslochi). Dalle camere di ospedali e cliniche (undici o dodici ricoveri in tutto, in molti posti diversi. Una volta li conto, ora non mi va). Mesi a letto, a guardare il mondo dalla finestra.
Ecco quindi quello che voglio dirvi.
Senza retorica.
Con la sola speranza di essere utile.
Voi, che quel mondo potete viverlo mentre altri lo guardano da lontano, fatelo. Vivetelo fino in fondo. Rispettatelo. Prendetevene cura, anche per noi.
Fermatevi a riflettere a quanto sia banale, ma vero: quando c'è la salute...
La salute è il dono più prezioso.
Auguro a tutti di non doverlo mai capire dopo essersi ammalati.
Cercate di farne tesoro prima. Cercate di farne tesoro a prescindere.
Non perdetevi in piccolezze senza senso, pensate alle cose che contano davvero.
Risparmierete del tempo.
Farete tesoro del tempo che io e molti altri passiamo senza poter fare granché (ed ecco spiegato com'è che leggo 120 libri l'anno! :-D), un po' impotenti e un po' arrabbiati. Un po' rassegnati e un po' pazienti.
Io ho iniziato molti, molti anni fa. Ed ero arrabbiata. Poi sono diventata triste.
Ora, semplicemente, sono paziente.
Mi sono adattata alla situazione, fatelo anche voi!
Adattatevi alla fortuna di poter andare ovunque, quando lo volete.
A maggior ragione se siete stati male e ora è passato.
Perché in molti casi, non passa mai.
C'è sempre gente che sta peggio (io lo so bene, li vedo ogni volta che vado in ospedale).
Non pensate a chi sta peggio di voi per consolarvi, fatelo solo per ricordarvi quanto siete fortunati.
Fuori da quella finestra c'è un mondo, per quanto "ristretto" e vicino possa essere.
Dietro la tenda i colori sono vividi, le immagini nitide.
Viveteli!
La libertà di muoversi, foss'anche di soli cento metri per passeggiare all'aperto, non ha prezzo.
Godetevela!
E Buon Anno :-)
Sei la mia ispirazione. Hai i controcazzi, sei un professionista nel tuo mestiere e mi strappi sempre un sorriso enorme. Grazie perchè non dai niente per scontato.
RispondiEliminaElisa carissima, grazie a TE!
EliminaFaccio quello che posso. E condividere le mie esperienze è fondamentale. Per questo, credo, ho sempre voluto scrivere. Per questo, forse, anche quando non volevo... Mi hanno fatta scrivere. Il resto è venuto da solo. Con tanta fatica, e magari non per sempre, ma poi "il resto" arriva :-)
Bacioni!
Chiara, ci vuole un grande cuore per riuscire a scrivere della propria malattia con schiettezza, umanità e leggerezza come hai fatto. Leggo e rileggo ciò che hai scritto e sono troppo emozionata per mettere a fuoco le emozioni (è confuso, ma so che hai capito che cosa cerco di dire :-) ).
RispondiEliminaMi è venuto in mente Matisse, uno dei miei artisti preferiti; una foto che lo ritrae seduto nel suo letto, convalescente, che disegna.
Matisse ha convissuto fin da bambino con una malattia intestinale fastidiosa, dolorosa, invalidante. Da bimbo, a letto, si annoiava; ha chiesto alla mamma una scatola di pastelli; e da lì è cominciata la sua avventura artistica.
Lungi da me solo suggerire che chi è malato è un "unto dal Signore", ha un "dono", e che dalla sofferenza nasce la creatività, e altre stupidaggini del genere.
Penso che Matisse sarebbe diventato Matisse anche senza la sua malattia; e che Chiara Poli sarebbe diventata Polee anche senza Mr. Crohn.
Penso che il "dono" sia il cuore; sia lo sguardo; lo sguardo su se stessi, sul Mondo, sugli altri.
Poi c'è la malattia; c'è anche lei, certo; a volte fastidiosa, a volte insopportabile. Ma insieme e oltre la malattia, Matisse è Matisse, con la sua meravigliosa pittura musicale; e Chiara è Chiara, con la sua scrittura lieve, diretta, arguta, che mi arriva dritta dritta al cuore.
Vedi, ho iniziato parlando di cuore, concludo con il cuore. Me ne accorgo rileggendo.
Non è un caso :-)
Non è facile lasciarmi senza parole. Ci sei riuscita. Grazie, di cuore.
EliminaNon riesco a scrivere altro eccetto che: GRAZIE.
RispondiEliminaE ti prego: scrivi più spesso!
<3
Grazie a te. Ci provo, promesso <3
EliminaChiara, è difficile trovare delle parole adeguate per commentare e probabilmente è impossibile farti sentire il sostegno che meriteresti. Mai banale in quello che dici, come sempre susciti tante di quelle riflessioni che si potrebbe andare avanti fino a sera. Mi limito a mandarti un abbraccio forte e un grande in bocca al lupo!!!!!!!
RispondiEliminaGrazie, Susanna cara! Di cuore! :-)
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