mercoledì 21 dicembre 2016

La Polee Bookaholic: i libri dell’autunno 2016

Come sapete dallo scorso bookaholic, a causa della prematura morte del mio Kindle Voyage - rafforzata da un’altra sfortunata serie di fattori - ho rallentato parecchio il mio ritmo di lettura. 
Ciononostante, ho affrontato letture di un certo spessore (anche in numero di pagine!), perché sotto al (mio) minimo sindacale non posso andare. Non ce la faccio. Ho bisogno di leggere, d’immergermi nel passato, nella fantasia e nel futuro.
Continuando a leggere libri sempre molto diversi fra loro. Come tutti, prediligo alcuni generi e autori, ma amo “spezzarne” la lettura inserendo titoli di autori e generi completamente differenti...


Trovo che sia un metodo “avventuroso” per la scelta delle letture, e sono convinta che continuerò a seguirlo. 
Ritengo infatti che leggere resti fra i migliori modi d’impiegare il proprio tempo libero.
Il risultato? La voglia di condividere le mie opinioni sui libri terminati, nella speranza - come sempre - di ispirare qualche nuova lettura.
A parte un paio di titoli perdibili, volendo (le opere di Forte e soprattutto di Colitto), tutte le letture di questo periodo sono altamente consigliate.
Ho avuto un autunno fortunato dal punto di vista letterario. Almeno dal punto di vista letterario… E non è poco!

Diario dell’anno della peste di Daniel Defoe
Amo i classici della letteratura inglese, da sempre. In questo caso, poi, la cura di Defoe nella redazione di un romanzo - perché questo è: un romanzo "travestito" da diario - mi ha lasciata a bocca aperta.
Oltre ai dati della mortalità durante l’epidemia di peste nella Londra del 1665, puntualmente snocciolati ed evidenziati in diversi passaggi del testo, e al racconto dell'evoluzione dei fatti, ci sono tutti gli argomenti più scottanti relativi a quella terribile piaga.

Dalle precauzioni imposte dalle autorità per evitare la diffusione del contagio alla corruzione e alla paura che le rendevano di fatto inefficaci; dalla freddezza di chi ha saputo sfruttare la situazione a proprio vantaggio alla dedizione dei medici e delle infermiere che curavano i malati fino all’ultimo, mettendo in gioco la propria vita; dalle riflessioni sulle misure che sarebbe state più opportune per arginare il contagio al racconto dei tentativi di mettersi in salvo, vagando da un posto all’altro per stare lontano dai focolai.
Il narratore è un personaggio nato dalla fantasia di Defoe, e come ho già detto non si tratta di un vero diario. Ciononostante, l'autore si è documentato con grande perizia, riportando fatti reali e situazioni storicamente comprovate.
Il risultato è un viaggio nell'orrore della malattia, della paura, della solitudine e della povertà. Ma anche un'incursione in un mondo passato i cui abitanti non avrebbero potuto agire diversamente.

Decameron di Giovanni Boccaccio
Volevo leggerlo da una vita, ma fra una cosa e l’altra l’avevo sempre rimandato.
Finalmente sono riuscita a dedicargli il giusto tempo e la giusta attenzione, trovandomi immersa in un testo di novelle incredibilmente attuali.
Cento racconti che affrontano tematiche differenti, permeati da ironia e intelligenza. Cento racconti che dipingono alla perfezione il clima sociale dell’epoca.
Pensare che il Boccaccio sia stato in grado di descrivere il Trecento con la modernità di queste novelle, confesso, mi ha molto colpita. Come tutti, anche per me il Decameron ha fatto parte del programma scolastico. Ne avevo letto qualche brano e studiato la storia, ma leggerlo integralmente - e da adulti - gli fa assumere un valore tutto nuovo.
Io ho scelto la versione originale, che comporta una certa lentezza nella lettura per essere compresa appieno. Ma credo che ne sia valsa la pena, e se dovessi consigliare a qualcuno la versione originale o quella “tradotta” in italiano moderno, senza alcun dubbio sceglierei la prima.

Dannati di Glenn Cooper
Primo volume di una trilogia, "Dannati" racconta una versione inedita e avventurosa dell’inferno.
Ho trovato scorrevole la scrittura di Cooper e molto originale la sua concezione dell’eternità alla quale sono condannati gli spiriti finiti all’inferno. Meritatamente, fra l'altro.
La premessa scientifica per l’apertura di un portale fra la nostra dimensione e quella infernale, che si trova alla base della storia narrata, non mi ha convinta fino in fondo; forse sarebbe stata meglio una spiegazione più orientata al fantasy che alla scienza, ma rispetto comunque la scelta dell’autore.
Perché, tutto sommato, ho trovato questo primo romanzo molto divertente, curioso e decisamente efficace nello scopo d'intrattenere il lettore. Ho acquistato anche i due volumi successivi, che sicuramente leggerò presto. 

La banalità del male di Hanna Arendt
Solo dopo averlo letto si coglie appieno il senso del titolo: la banalità del male è la volontà di svilire i crimini nazisti.
La banalità del male è la scelta di dichiararsi innocenti per l’uccisione di milioni di persone perché “all’epoca dei fatti le azioni compiute non erano considerate illegali”.
La banalità del male è trincerarsi dietro la legge nazista, sacrificando il senso morale che dalla legge - da qualsiasi legge - dovrebbe essere indipendente.
Hanna Arendt ha seguito il processo contro Adolf Eichmann come inviata del New Yorker. Il libro è la raccolta dei suoi articoli, ampliati e rivisti per l’edizione.
Il diario della Arendt redatto durante il processo evidenzia come, a vent’anni dalla caduta del nazismo, la Germania fosse ancora, di fatto, nelle mani di ex nazisti. Ruoli chiave nell’amministrazione pubblica, unitamente ad alcune condanne incredibilmente miti e all’arroganza dei criminali di guerra fuggiti all’estero (che nemmeno sentirono il bisogno di cambiare nome) restituiscono il quadro di un mondo che non ha ancora avuto il coraggio di affrontare l’orrore che ha lasciato accadere. Né di condannarlo davvero.
Eichmann, dichiarandosi innocente rispetto alla legge (ma non rispetto a Dio, evidentemente, conclude l'autrice), rappresenta la facilità con cui il Male puro, che Eichmann stesso incarna come simbolo dell’Olocausto, si possa banalizzare. Fino a trasformarlo nel palcoscenico della pochezza d’animo e della vigliaccheria.

Olocausto di Alfredo Oriani
Al contrario di quanto lascerebbe intuire il titolo, questo romanzo non ha nulla a che fare con la Seconda Guerra Mondiale.
Tratta, invece, della drammatica condizione femminile nell’Italia di fine Ottocento, del tragico destino di una ragazza spinta alla prostituzione dalla sua stessa madre, della mercificazione del proprio corpo come “giusto” e "giustificabile" mezzo di sussistenza.
Tina, la giovane protagonista, subisce le angherie di tre donne.
La madre, che la spinge a vendere se stessa, la vicina di casa, che non mostra alcuna contrarietà riguardo al destino di Tina, né alcuna pietà nei suoi confronti, e naturalmente la “mezzana”, la donna che organizza gli incontri fra Tina e i suoi clienti.
Guadagnando sulla pelle di un’anima innocente, e sulla distruzione dei sogni di una giovane donna a cui nessuno, a cominciare da chi le ha dato la vita, tende la mano, queste tre donne incarnano tutto ciò che di sbagliato c'era nella società dell'epoca. Senza vergogna e senza rimorsi.

Il segno dell’untore - La prima indagine del notaio criminale Niccolò Taverna di Franco Forte
Confesso che non mi ha convinta del tutto. La trama, secondo me, non era abbastanza complessa da renderlo interessante come mi sarei aspettata. 
L’ambientazione, però, è suggestiva. La scrittura è scorrevole. Tutto sommato, intrattiene senza troppe pretese e descrive con una certa accuratezza l’epoca in cui è ambientato, la Milano del 1576.
Se questa è la prima indagine di Taverna, però, non credo che seguirò le altre. A meno che non mi giunga voce che le trame siano diventate maggiormente degne d’attenzione.

La Compagnia della morte di Alfredo Colitto
Se dovessi scegliere un solo aggettivo per descriverlo, non avrei dubbi: noioso. Questo romanzo non mi è proprio piaciuto, per niente. La ragione è semplice: la noia che mi ha accompagnata per tutta la lettura (180 pagine sono “poche”, normalmente, ma in questo caso non finivano più…) non è nemmeno il suo difetto più grave.
Il difetto veramente insuperabile, a mio parere, è l’incapacità dell’autore di restituire l’atmosfera dell’epoca. 
Siamo a Napoli nel 1655. Eppure, leggendo Colitto, potremmo essere altrove, e in molti altri momenti storici.
Mi è mancato il legame con la tradizione, riconoscibile solo grazie agli eventi storici sullo sfondo, che lo contestualizzano. Mi è mancato il pathos. Mi sono mancati, e molto, i colpi di scena.
Non riesco a spiegarmi come possa aver ottenuto valutazioni così alte da parte di altri lettori. Forse, paragonandolo alle altre letture storiche (vedi il “Diario dell’anno della peste” di Defoe), mi ritrovo con testi di confronto che rendono il mio giudizio troppo severo. O, forse, i romanzi storici riusciti sono davvero un’altra cosa… 

Il cibo dell’uomo di Franco Berrino
Ci sono libri che ti cambiano la vita, e questo appartiene senz’altro alla categoria.
Per mia fortuna, ero già informata su molti degli argomenti trattati nei vari capitoli, riadattamenti di articoli in larga parte già precedentemente pubblicati, e già da tempo avevo adottato un’alimentazione in linea con quella suggerita dal testo.
Ciononostante, ho imparato molto - c’è un intero capitolo dedicato a una delle mie malattie croniche - e ho avuto modo di applicare i consigli del professor Berrino per l’alimentazione in fase acuta, traendone beneficio.
Sia chiaro, però: non è un testo facile, né leggero. Trattandosi di uno scritto scientifico, riporta molte statistiche e parla di molte malattie, in particolare del cancro. Diffusamente.
Ritengo valga in ogni caso la pena di leggerlo, dedicandogli il tempo che richiede, perché le argomentazioni riportate sono fondate su decenni di esperienza medica e di ricerca sul campo.

Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche di Melanie Joy
Ho scelto questo, fra i molti libri pubblicati dalla Joy, perché il titolo mi ha subito suggerito un approccio psicologico al tema dello specismo e del "carnismo" (termine usato dalla stessa Joy).
Non mi sono sbagliata: il testo - pur riportando qualche passaggio un po’ “difficile” per i lettori più sensibili (e io m'inserisco nella categoria) sugli allevamenti intensivi, affronta in modo interessante e originale le ragioni che ci fanno discriminare gli animali fra compagni di vita, cibo e accessori alla moda. Con argomentazioni ineccepibili.
Si tratta di una questione profondamente legata alla cultura, alla storia ma anche all’industria e, ovviamente, all'economia.
L’ho letto poco tempo dopo aver fatto (traendone grande giovamento) il “salto” dall’alimentazione vegetariana a quella vegana. Ma se così non fosse stato, sicuramente sarei diventata vegana dopo averlo letto. Non ho dubbi in proposito.

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