giovedì 17 luglio 2014

Scrivere tanto per scrivere

La mia casa non è lontana da quella di Yara Gambirasio
Ho degli amici che sono amici dei suoi genitori. Conosco l'avvocato della famiglia. 
E come tutti, credo, sono rimasta scioccata dal suo destino. 
Yara è stata sequestrata, spaventata, malmenata, molestata, ferita a morte e abbandonata al buio di un campo nel freddo invernale, dove è morta sola.
Non posso nemmeno immaginare la paura che deve aver provato. 
Non posso nemmeno immaginare suoi ultimi pensieri, gli ultimi attimi terrorizzati di una vita così giovane.
Né posso immaginare il dolore della sua famiglia. 
Posso però, senza ombra di dubbio, immaginare cosa provano ogni giorno

Ogni giorno un nuovo, insignificante, sensazionalistico, inutile dettaglio delle indagini viene sbattuto in prima pagina
Bossetti, il DNA, il telefono, il furgone, le telecamere, ignoto uno, due e tre... 
Non c'è modo di sottrarsi al bombardamento mediatico che, come tutti paiono aver dimenticato, riguarda innanzitutto il dolore di persone che sono ancora vive, che ancora sono costrette a confrontarsi con un orribile lutto, ogni giorno. Da quattro anni.
Un lutto sbattuto in prima pagina e vissuto dai suoi protagonisti con una dignità che, purtroppo, non sembra aver insegnato qualcosa a chi ne parla tutti i giorni.
Sono passati quattro anni dalla morte di Yara, già.
Eppure ogni giorno c'è una novità nelle indagini. 
Sono stati spesi milioni di euro per cercare di trovare il suo assassino e ora che un sospettato, il sospettato numero uno, è in carcere, il circo mediatico si è scatenato come non mai. 
Non c'è modo di sfuggirli, per quanto ci si provi. Il caso di Yara è ovunque: sui giornali, in tv, alla radio, in rete. E se non riesco a sfuggirgli io, figuriamoci se ci riescono i genitori di Yara, il suo fratellino, i suoi parenti e i suoi amici. 
Certi giorni appare evidente: i miei colleghi giornalisti scrivono tanto per scrivere. 
Sottolineano particolari macabri o riprendono in mano vecchie teorie perché devono battere il ferro finché è caldo. Ed è in questo che si trova il confine fra informazione e sciacallaggio.
L'argomento "tira", vende, quindi si tratta come qualsiasi altro argomento vendibile. Come i mondiali di calcio, i gossip sulle celebrità, la dieta per la prova costume.
Non sarà arrivato il momento di fermarsi per chiedersi dove sta il problema? 
Sono i giornalisti, gli esperti (più o meno improvvisati), i testimoni (più o meno attendibili) e gli opinionisti dei quali nessuno ha chiesto l'opinione che ci bombardano di informazioni irrispettose, inutili, certe volte perfino fastidiose costringendoci ad assorbirle?
O siamo noi lettori, ascoltatori e telespettatori a chiederle? 
Io credo che il problema non abbia una risposta univoca. Siamo noi, sì. Lettori e telespettatori. E siamo ancora noi, sì, giornalisti, telegiornalisti, conduttori radiofonici. 
È nella natura dell'essere umano farsi gli affari degli altri: quanti milioni di persone frequentano ogni giorno i social network a questo scopo, in tutto il mondo?
Perché sono lì, quelle persone? Per comunicare, per restare in contatto con gli amici lontani, per passare il tempo (è ciò che faccio io, soprattutto perché le mie condizioni di salute non mi consentono di andarmene in giro granché. E poter "parlare" ogni giorno con i miei amici, mentre sono costretta a letto, aiuta. Molto).
I frequentatori dei social network magari sono lì per i miei stessi motivi. 
Ma sono lì - e questo è certo - anche per spiare, invidiare, deridere, ammirare, commentare, giudicare
Più si giudica, più ci si sente migliori. 
A seconda dell'occorrenza, noi italiani siamo un popolo di commissari tecnici, critici cinematografici, esperti di DNA, assidui telespettatori di CSI pronti a scuotere la testa: gli inquirenti hanno sbagliato. Il sospettato è colpevole. No, il sospettato è innocente. E' l'assassino di Yara. No, è il presunto assassino di Yara.
E via così. All'infinito.
Una cosa è certa: tutti noi siamo in grado di formarci delle opinioni sui fatti di cronaca, sulle celebrità, sui politici, sul mondo che ci circonda. Ma è anche certo che informazione faziosa, disinformazione, manipolazione e prese in giro sono in agguato, ovunque (un caso recente, tanto per fare un esempio: foto di bambini siriani massacrati, ignorate dai mass-media perché appartenenti a una guerra non di moda, sono state ora spacciate per immagini del conflitto israeliano-palestinese perché questo è il piatto forte del momento, una guerra con grossi interessi politici ed economici. E se non ho una foto, me ne procuro una ad effetto...). 
Per difendersi dalle "trappole" di un'informazione che informazione non è, confezionata alla bell'e meglio da non professionisti del settore, c'è un solo modo: leggere, leggere ancora, leggere di nuovo. Cercare, confrontare le fonti, informarsi, tenersi aggiornati, non fossilizzarsi su un solo punto di vista. A patto che la questione interessi, è chiaro. E che sia degna d'attenzione. Rispettosa, necessaria, importante.
Siamo nell'era di internet e il bello è proprio che, se il bombardamento mediatico al quale siamo sottoposti si è centuplicato, abbiamo anche la possibilità - noi che siamo fortunati ad avere una - di subirlo nel modo corretto: interessandoci quanto vogliamo e quando vogliamo.
Evitando di soffermarci alla superficialità. 
Soprattutto, però, imparando il rispetto
Un po' di silenzio, per la famiglia di Yara ne sarebbe un ottimo esempio.
Sarebbe la cosa migliore. 
Per lei e per noi.

3 commenti:

  1. Ciao, mi chiamo Stefano, anch'io blogger. Ho letto il tuo articolo i aprile sul razzismo al contrario e mi è piaciuto molto, tanto che ti chiedo se posso copiarlo sul mio Blog.
    Ciao e buona giornata.

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    1. Ciao Stefano! Certo, come previsto dai Creative Commons, puoi riportare i contenuti del blog a patto che citi la fonte :-) Se hai voglia di linkarmi il tuo blog, ti leggo volentieri! Buona giornata :-)

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  2. Grazie, però io non scrivo bene come te, farei brutta figura... Non scrivo veri e prorpri articoli, ma sfoghi, stile bar, quindi poco aulici. cmq il mio blog si chiama adverso amne.
    Ciao.
    Stefano

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