Caso raro: ho saltato un mese.
Ad aprile, per una serie di vicissitudini, avevo letto solo due libri e mezzo. Mi sembrava eccessivo fare un post per due titoli, così ho deciso di fare affidamento su maggio.
E stampellata, massacrata dal signor Crohn e dal cortisone, difatti ho letto un sacco.
In pratica me la sono tirata? Mah. Fatto sta che ho letto diversi libri memorabili.
E altri da dimenticare, possibilmente in fretta.
Ho affrontato il sequel di Shining, Doctor Sleep. E me ne pento, se devo dirla tutta.
Ho scoperto La verità sul caso di Harry Quebert (e mi turba il fatto che il suo autore sia un esordiente: teniamolo d'occhio!). Mi sono imbattuta in un paio di Vitali da rimuovere (dalla memoria e dalla libreria), ho avuto il mio incontro con l'attualissimo Divergent. E via dicendo.
Di seguito le recensioni di tutti i titoli di questi due mesi, come sempre col numero progressivo annuale e come sempre spoiler free e quasi del tutto prive di informazioni sulla trama (i libri bisogna scoprirli, non farseli raccontare!)
Enjoy!
39. Divergent di Veronica Roth
Che peccato. L'idea c'era. L’atmsofera pure. Persino una certa bravura nel descriverla… Eppure l’autrice ha scelto di mettere la sua creatività al servizio di un romance per teenager. Proprio un gran peccato. I giovani lettori avrebbero apprezzato ugualmente, se si fosse concentrata maggiormente sugli aspetti più affascinanti e originali della sua idea. E anche i lettori più esigenti sarebbero stati soddisfatti. Il mondo di Divergent è ben delineato, intrigante, ricco: la società di questo futuro che ha cercato di limitare i contrasti, senza peraltro riuscirci, ha un grande potenziale, che purtroppo resta inespresso. Tutta la storia di Quattro e di Beatrice segue binari più che prevedibili. Ogni parola, ogni evento, ogni segreto: tutto si capisce prima che accada, togliendo al lettore il gusto della scoperta. Il finale è come quello di Hunger Games (dal quale la Roth ha chiaramente preso ispirazione): avrebbe voluto essere la conclusione della prima parte di una trilogia che divideva in tre un unico, grande romanzo. Ma il progetto fallisce: si perde per strada subito dopo il “gran finale”. Tanto che ho iniziato Insurgent, dando fiducia all’autrice nonostante tutto, ma ho mollato dopo poche decine di pagine. E io detesto mollare un libro senza finirlo… Ma non potevo fare altrimenti: la scelta banale continuava a prevalere sul grande potenziale di un mondo interessante. Non faceva proprio per me.
Ecco uno di quei libri che dovrebbero nutrirsi di un inarrestabile passaparola e passare di mano in mano. Io invece ci sono arrivata per caso, e ne sono stata lieta. In tempi in cui “biologico”, “naturale” e “sano” vengono usati come sinonimi da chi vuole venderci i suoi prodotti, o da chi pensa di essere informato sull’argomento mentre in realtà fa disinformazione e segue una moda, fare il punto sulla situazione non è solo utile: è indispensabile. Soprattutto per chi ci tiene a sapere cosa mette in tavola, quali sono gli standard che definiscono “biologico” un cibo, come funziona il mercato. Il tutto spiegato da uno scienziato che è anche un bravo narratore: concetti complessi resi semplici ma non banali sono il succo di questo saggio.
Ci sono cose che tutti dovremmo voler sapere. “Pane e bugie” fa parte di queste cose. Assolutamente da leggere.
“Leggere” uno spettacolo teatrale è sempre meno efficace che vederlo. Ciò non toglie che l’ironia di Bennett emerga alla perfezione dal testo, e che l’immaginazione ci spinga verso la chiara visualizzazione di un palco teatrale con gli attori che vi si avvicendano. Per me, almeno, è stato così: ho assistito allo spettacolo, a modo mio.
Prendendo ad esempio la figura di Giorgio III, Bennett ci parla (con la consueta, pungente satira) della decadenza della monarchia inglese, dei cambiamenti storici, della fine di un sogno monarchico che si era già concluso da un pezzo… Senza che nessuno se ne accorgesse.
Come molti altri libri sulla tragedia del nazismo, anche “La notte” ti lascia interdetto. Ti chiedi come sia stato possibile. Ti chiedi perché. Ti chiedi in che modo i mostri che hanno compiuto orrori che non vanno dimenticati siano riusciti ad agire indisturbati. Anche Elie Wiesel se lo chiede. Si parla dell’incredulità degli ebrei rispetto alle “voci” sui campi di concentramento. Si parla dell’incapacità di reagire, inebetiti da quel “non può essere vero” che ha permesso l’orrore, e si parla della forza di provarci, a costo della propria vita. “La notte” è uno di quei libri che ti lasciano interdetto e che non si dimenticano; ed è bene che sia così: certe cose si devono sapere. E si devono ricordare, perché non si corra il rischio di vederle accadere di nuovo e perché non si perda occasione di vergognarsene.
In una parola: deludente. Vitali è uno dei miei autori preferiti, ma inizia a essere troppo altalenante. Sforna dei romanzi meravigliosi alternati a storie frettolose e inconcludenti come questa. Forse per la troppa smania di scrivere, magari su pressione degli editori. Fatto sta che qui si volevano gettare le basi per un giallo, uscendo un po’ dai consueti binari, ma il meccanismo non ingrana. Nonostante l'impegno dell’autore, la storia crolla sotto una trama scontata e viene definitivamente ammazzata da un finale che vanifica tutto l’impegno precedente. I segreti non sono veri segreti. I colpi di scena vengono preparati con cura, poi “buttati lì” e abbandonati prima che mostrino i loro effetti sui personaggi. Questa incursione in un genere che non appartiene a Vitali, insomma, non ha funzionato. Pietra sopra (cit.).
Affascinante. Davvero affascinante. È stato come “leggere un documentario”: uno stile divulgativo, scientifico, ricco di tecnicismi ma al contempo narrativo. Un mix non semplice da ottenere in forma scritta, soprattutto per un argomento impegnativo come quello scelto dall’autore: cosa succederebbe al mondo, al nostro pianeta, se la razza umana scomparisse? Si modificherebbero la flora e la fauna, le costruzioni per noi tanto preziose finirebbero per essere distrutte, si tornerebbe all’era glaciale nonostante il problema del riscaldamento globale? E ancora: cosa sarebbe successo al mondo se non fossimo mai esistiti? Come si sarebbero evolute le altre specie viventi? “Il mondo senza noi” descrive scenari apocalittici, fantascientifici, avventurosi e ricchi di misteri, ma nemmeno troppo: la scienza, qui, è al servizio della fantascienza. Ci troviamo di fronte a uno straordinario lavoro di ricerca, con una bibliografia che occupa quasi il 20% del testo e mostra come le statistiche e gli studi citati dall’autore siano frutto di scenari più che plausibili. Affascinanti e spaventosi al tempo stesso.
Dick dovrebbe essere obbligatorio a scuola. Dovrebbe essere preso ad esempio per come si serve di fantascienza, horror e soprannaturale per raccontare gli orrori generati dagli errori dell’uomo. Perdita di individualità, ipertecnologicizzazione, paura del “diverso” e del futuro, guerre globali frutto di un’ambizione che non si ferma mai: storicamente parlando, non c'è un momento fondamentale nella storia dell'umanità che egli non abbia affrontato. Fra quelli che ha potuto vivere o studiare, naturalmente. “Labirinto di morte” è uno di quei romanzi con un finale a sorpresa che ti fa rimettere tutto in discussione. Uno di quei romanzi che sfruttano il lato oscuro dell'uomo, i suoi istinti primordiali, la sua incapacità di far fruttare la razionalità quando si trova di fronte all'emergenza di sopravvivere. All’urgenza di avere la meglio sul destino. O sulle minacce di altri uomini. Dick ha una vera e propria passione per l’uomo in quanto “umano”, cioè debole, imperfetto e ricordi contraddizioni. Contraddizioni che “Labirinto di morte” esplora nella fauna umana di un romanzo corale, in cui quattordici personaggi che solo un autore del calibro di Dick prendono vita in poche righe. Intuiamo il loro destino, anticipiamo le loro decisioni, condividiamo le loro paure. Come sempre, non dico nulla sulla trama per non rovinare l'esperienza della lettura di questo romanzo a chi ancora non vi si sia accostato. Mi limito a dirvi: leggetelo.
46. Nemesi di Philip Roth
Roth è uno dei miei scrittori preferiti. Un po’ perché ha una capacità di approfondire il “semplice”, rendendolo “speciale”, fuori dal comune. E un po’ perché ti fa appassionare ai suoi personaggi fin dal primo momento. Bucky Cantor non si può non amare. Non possiamo evitare di condividere i suoi sogni e il destino contro il quale si infrangono. Non possiamo sottrarci all’atmosfera che terrorizza Newark ai tempi di un’epidemia di poliomielite. Soprattutto, non possiamo non ammirare la maestria con la quale Roth descrive l’egoismo che si cela sotto la generosità… E viceversa. Né l’accurata descrizione di chi ci fa del male più di chiunque altro: noi stessi.
47. Tutta colpa dell’angelo - Un’allegra favola di Natale (a.k.a. “Uno stupido angelo - Storia commovente di un Natale di terrore”) di Christopher Moore
Sarà che con Chris Moore è stato un colpo di fulmine: dopo “Il vangelo secondo Biff” è entrato di diritto nel gruppo dei miei scrittori preferiti. Prima ancora che affrontassi le sue altre opere. Sarà che l'angelo stupido (Titolo originale: The Stupidest Angel) protagonista di questo romanzo mi ha divertita come una pazza. Sarà che senza anticipare nulla della trama, posso dirvi che l’autore ha infilato alcune fra le mie creature preferite nella trama, dotandole di optional esilaranti. Fatto sta che non capisco proprio le numerose critiche a questo romanzo, perfettamente in linea con la genialità che contraddistingue l’ironico lavoro di Moore, e non mi capacito di come diversi lettori abbiano affermato di non essere riusciti ad andare avanti. Su anobii e altrove ho letto diversi commenti sul genere “Non sono proprio riuscito a finirlo”. Non me ne capacito: “Tutta colpa dell’angelo" è emblematico delle doti che rendono grandiosa la scrittura di Moore: ironia, personaggi memorabili, efficaci metafore che si fanno gioco dei vizi e delle ossessioni della società contemporanea, colpi di scena che trasformano un genere in un altro, spiazzando ed entusiasmando. Moore, inoltre, spesso incrocia storie e personaggi dei suoi romanzi in crossover che fanno impazzire i suoi lettori. Non saprei cos’altro chiedere, di più. La feroce satira sociale, il parziale revisionismo storico (a titolo ironico, s’intende) e l’originalità inserita anche negli argomenti più sfruttati, insieme alla consuetudine di prendere in prestito personaggi eventi o luoghi, mescolati da un romanzo all’altro, fanno andare in visibilio i lettori più fedeli di Moore. Io sono e rimango sicuramente fra questi.
48. La bambina che salvava i libri di Markus Zusak
Rieditato col titolo del film che ne è stato tratto (“Storia di una ladra di libri”), questo romanzo mi ha colpita davvero. Non è solo un affresco storico condito dalla disperazione di chi sta “dall’altra parte” durante l’orrore nazista, rifiutandosi di credere (salvo poi arrendersi all’evidenza) a ciò che sta succedendo in Germania. È soprattutto una poesia sui sentimenti. La paura di crescere, il rapporto coi genitori, il lutto, il primo amore, la rabbia e l’impotenza dovute all’obbligo di essere testimoni del momento più buio della nostra storia: troverete questo, nel romanzo di Zusak. Ma anche altro: i disegni, le favole, l’arte di arrangiarsi e di ingegnarsi. Ovvero gli unici appigli per non perdere la ragione. Insieme, naturalmente, a loro: i libri. Quei magici portali che oggi come allora rappresentano l’unica vera via di fuga; l’unica distrazione che funziona; l’unica ragione per affrontare l’orrore e la paura; l’unico modo di rendere tangibile una speranza.
49. L’ammazzadiavoli di Otranto di Franco Candido
Una favola popolare come traccia, rinnovata e arricchita dalla fantasia dell’autore. Divertente, leggera, irriverente e con l’immancabile morale (anche se non è proprio una di quelle che ti invita a comportarti onestamente…). Si legge in fretta e diverte soprattutto nella prima parte.
50. Ero Amelia Earhart di Jane Mendelsohn
Le biografie dei personaggi storici, soprattutto di quelli che hanno segnato un’epoca come Amelia Earhart e che hanno fatto una fine misteriosa sono sempre grande fonte di fascino e mistero. In questo caso la scelta della Mendelsohn di raccontarci la storia (immaginaria) dell’ultimo viaggio della Earhart, scomparsa insieme al suo aereo senza lasciare traccia, si arricchisce di una ricerca verosimile sul personaggio reale (il carattere, le aspirazioni e la visione del mondo sono quelle “vere”) mescolata con la fantasia di un finale immaginario che rende onore ai protagonisti e ai lettori. Per sottolineare la duplicità di questo suo lavoro, la Mendelsohn scrive sia in prima che in terza persona, passando da una voce narrante all’altra con disinvoltura e riuscendo nell’impresa di non creare confusione. “Ero Amelia Earhart” si legge in fretta, con avidità, con un occhio aperto e incollato al coraggio e alle aspirazioni di una donna pioniera e con l’altro spalancato sull’immaginazione di una fine che fine, in fondo, non è.
51. Doctor Sleep di Stephen King
Scrivere il sequel di una storia nota come quella di “Shining”, che milioni di lettori hanno assaporato nel corso degli anni e altrettanti milioni hanno amato sul grande schermo, trasformata dal genio di Kubrick (perché le differenze fra film e romanzo sono parecchie) è una sfida già in partenza. Per gran parte del romanzo la mia posizione a riguardo è quindi rimasta quella iniziale: scettica. E scettica mi trovo anche ora, dopo averlo letto. “Shining” è una di quelle storie che hanno fatto la storia della cultura popolare. Dan Torrance, protagonista di questo sequel a distanza di decenni, è l’ingranaggio di un meccanismo che a mio parere dedica troppo poco spazio a quei fatti indimenticabili. I riferimenti ci sono, apprezzabili da chi ha letto il primo libro ma comprensibili anche per chi non lo ha fatto. Però c’è qualcosa che non va: “allargare” il mondo di Dan a quello della luccicanza e dei suoi abitanti poteva avere un senso, ma tutta la storia del Vero Nodo a mio parere non ce l’ha. Non del tutto. Grande attesa, grande preparazione per “lo” scontro finale, grande tensione e poi, come spesso accade, puff! Finito. Già finito.
Ho sentito la mancanza di un maggiore approfondimento psicologico. Ho sentito la mancanza di una maggiore esplorazione di una razza che da secoli si aggirava sulla Terra. Ho sentito la mancanza di un ritmo adeguato. Alla fine non avrei molto da dire. Non avrebbe lasciato il segno, se fosse un “qualsiasi” romanzo di King. Ma non lo è: è il sequel di “Shining” e non ne è all’altezza.
52. Stardust di Neil Gaiman
Ogni tanto una favola ci vuole. Ci vuole proprio. Gaiman mi ha fatto tornare ragazzina: stelle che non sono stelle, streghe, incantesimi, mercati incantati… Il bello di leggere tanto è che si ha modo di spaziare fra i generi e così dopo Stephen King ho pensato di fare un’incursione nel regno di “Stardust”. Non me ne sono pentita: è stato un bel viaggio. A volte un po’ confuso, perché il regno è piuttosto complesso e non è esattamente una favola per bambini, questa, ma anche un po’ di impegno per seguire le fila del racconto e i numerosi personaggi fa parte del gioco. Non ho visto il film tratto dal romanzo e non credo che lo farò: nelle favole più che in tutti gli altri casi è bello continuare a tenersi strette le immagini scaturite dalla propria fantasia. Io ho deciso di farlo con “Stardust”.
53. La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dicker
Quando ho scoperto che “La verità sul caso di Harry Quebert” era il terzo romanzo (e il primo vero successo) del giovane Dicker (classe 1985), ho pensato: il ragazzo è da tenere d’occhio. Perché se scrivere un giallo ben congegnato, con tanti sospettati e una verità che arriva solo alla fine (magari la si può intuire, ma colpisce comunque dritto al cuore quando ci viene raccontata) è appannaggio di diversi scrittori, unire un’indagine appassionante e appassionata a verità sulla scrittura che lasciano il segno non è da tutti. Ho sottolineato mezzo libro: i protagonisti sono due scrittori, mentore e allievo. Ciò che entrambi affermano sul potere della scrittura, catartico per l’autore ed evocativo per il lettore, riassume tutte le ragioni per le quali scriviamo. E leggiamo.
La storia di Harry Quebert, di Marcus Goldman e di Nola Kellergan è una complessa storia di sentimenti. Soprattutto, però, è la storia dell’amore per quel magico processo che trasforma le emozioni in parole, la vita in un romanzo, l’avventura in un racconto universale.
54. Il lamento del prepuzio di Shalom Auslander
C’è chi lo prende come destino. C’è chi, come Shalom Auslander, lo prende come Dio che si diverte a tormentarti. Tutto noi sentiamo il bisogno di spiegarci come e perché ci capita qualcosa. Shalom se lo spiega come Dio che lo prende in giro. Fra presente e passato, l’autore ci racconta la sua vita di marito e futuro padre e la sua infanzia di bambino ebreo ortodosso che, avido di ribellione giovanile, andava al centro commerciale di sabato e si ingozzava di hot dog. “Il lamento del prepuzio” è un libro esilarante ma anche ricco di drammi (è la storia di una vita. E non esiste vita che non debba affrontare dei drammi…). Ma è anche un libro arguto, pieno di saggezza e di quella libertà che molti non osano prendersi: accusare Dio di avere un distorto senso dell’umorismo.
se ti è piaciuto pane e bugie leggi anche gli altri libri di Dario! ci sa davvero fare, come divulgatore :)
RispondiEliminaamberle :)