venerdì 26 marzo 2010

La (mia) casta

Ci rifletto da un po'. Prima pensavo di scrivere una moderna "apologia del quarto d'ora di celebrità nella sua forma originaria", per cancellare con un colpo di spugna l'orrore a cui assistiamo ogni giorno in tv.

Poi ho deciso di allargare il discorso anche a chi, di televisione, scrive.
Come ben sapete, per una serie di trascurabili motivi (che riassumerei con un "conosci il tuo nemico"), da un po' di tempo ignoro le suppliche di amici e parenti e proseguo il mio masochistico e coraggioso viaggio nella tv generalista.
La cosa meravigliosa dello sforzo sovrumano fatto per guardare due puntate INTERE del Grande Fratello, una e mezza dell'Isola dei famosi e perfino una ventina di minuti di Barbara D'Urso a Pomeriggio 5, è che alla fine la fatica paga.
Perché ora, finalmente, ho capito.

Una puntata de Le iene - l'unico fra i programmi della tv generalista che non mi pesa seguire - mi ha confermato quanto ho sempre pensato: quelli che non sanno fare niente, i Signori Nessuno assurti a fama nazionale (ben diversi dalle Persone Comuni: quelle sì che hanno qualcosa da dire. C'è una bella differenza) rappresentano la perfetta espressione delle aspirazioni odierne dell'italiano medio.
Ovvero: guadagnare una paccata di soldi senza fare nulla (e vabbè, fin qui c'eravamo arrivati anche noi), con l'aggiunta del Santo Graal del quarto d'ora di celebrità in tv. Sentirsi qualcuno. Non diventarlo, perché questo richiederebbe impegno e fatica. Sentircisi. Convincersi di essere dei grandi.
Convincersene al punto di dire quello che ha detto Carmela del Grande Fratello alla giornalista-iena, camuffata da P.R. fuori da un locale, che ha finto di non sapere chi fosse: " Tu per comprarti i vestiti che ho addosso io in questo momento, devi lavorare due anni".
Ora.
Non è che mi aspettassi qualcosa di diverso da una che ha giurato amore in diretta a George "laprovachel'uomovienedallascimmia" Leonard, per carità.
Non è certo l'ignoranza (davvero beata, in certi casi), comune denominatore ai provini per il casting dei reality (e capisco perché: senza ignoranti fra i concorrenti, non potremmo poi rotolarci dalle risate insieme alla Gialappa's), a soprendermi.
E' la cattiveria.
E' l'arroganza.
E' la supponenza.
E' la versione contemporanea dello storico "Lei non sa chi sono io".
"Sei una cafona cretina" chiosa milady alla giornalsta in incognito, che mantiene sempre toni pacati e rispettosi.
Perché viviamo nella cultura dell'aggressività verbale (scritta o orale, poco importa).
Perché siamo tenuti a sapere chi sia Carmela del Grande Fratello.
Perché siamo nelle mani di giornalisti che scrivono di tv infarcendo i loro di articoli di informazioni sbagliate ("Dettagli", mi rispondono quando mi lamento. No, scusa: stai lavorando o ammazzi il tempo?) e, cosa ancora più grave ("Ma sì, non conta. L'importante è il contenuto", mi dicono quando quasi cado per terra di fronte agli errori di grammatica), con incomprensibili versioni personalizzate dell'italiano.
Non abbiamo più solo il bimbominkia, cari miei.
Ora abbiamo anche il giornalistaminkia.
Quello che critica il serial del momento, Lost, perché è diventato troppo incasinato (e a tal proposito, lascio parlare il mio amico Faramir, che sul suo blog La lavagna di Faraday ha chiarito meravigliosamente la questione).
Quello che quando gli muovi una critica ti risponde aggressivo - fra le righe - con un sano, vecchio "tu non sai chi sono io".
Ciascuno intende il suo lavoro come meglio crede, ma se prevedi commenti e domande ai tuoi articoli, per come la vedo è tuo dovere rispondere, discutere, farti capire e cercare di capire.
Io cerco di farlo, quando il mezzo o la testata me ne danno l'opportunità.
Ho sentito di doverlo fare poco tempo dopo aver iniziato a fare questo lavoro.
Perché io non mi sento un giornalistaminkia.
Non mi sento come quelli che scrivono di telefilm e quando fai una domanda, o una critica  - educata e precisa - si offendono e ti rispondono "Sì, vabbè, ma stiamo parlando di un telefilm, mica della cura per il cancro".
Ecco.
E' questo a farmi impazzire.
Perché mi chiedo: stimati colleghi, se vi scoccia così tanto "abbassarvi" a discutere di telefilm con i vostri lettori, allora per quale motivo non vi chiudete in uno stramaledetto laboratorio a cercare una cura per il cancro?

5 commenti:

  1. Ti amo anch'io... Anche se sei fra quelli che non troveranno mai una cura per il cancro ;)

    RispondiElimina
  2. E no. Il termine "Bimbominkia" è ad uso e consumo dell'universo videoludico. Lo rivogliamo indietro :D
    Chiara a questo proposito vorrei scambiare due parole con te. Come si fa? :D

    RispondiElimina
  3. Mi mandi un messaggio su Facebook, così poi possiamo bimbominkiare per giorni e giorni :D

    RispondiElimina
  4. Chiara sono d'accordo con te! Lunga vita alla Poli!

    RispondiElimina